Quella Cartabia è “una riforma che tenta di modernizzare e non registrare l’esistente”. Il j’accuse del procuratore Gratteri? “Non è solo una invasione di campo. La sua, con tutto il rispetto dovuto, è una valutazione aprioristica”. Quanto a Mario Draghi, conia questa definizione: “è il “Medico dell’Italia”.

Luigi Berlinguer è stato Rettore dell’Università di Siena dal 1985 al 1994. Studioso di diritto, ha fatto parte del Csm. Nella XIII legislatura è stato ministro della Pubblica istruzione, dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica nel governo Prodi e poi ministro della Pubblica istruzione nei due governi D’Alema. Ed ancora: nel quadriennio 2002-2006 è stato membro del Consiglio superiore della magistratura (Csm), e successivamente parlamentare europeo. Nel vecchio Pci è sempre stato uno degli intellettuali di riferimento: vivace e spesso dissidente.

Professor Berlinguer, quale valutazione dà della riforma Cartabia, faticosamente licenziata dal Consiglio dei Ministri?

Al di là dei singoli aspetti, tutti oggetto di verifica nella loro attuazione, quello che mi colpisce positivamente è che si sia affacciato, in un campo cruciale come è quello della Giustizia, un bisogno di modernizzazione, di adeguamento della nostra organizzazione al fatto che la società cammina, e che bisogna spingere in avanti. Quello che le dirò so che non può piacere agli uomini di cultura…

Nessun problema, faccia pure.

Gli uomini di cultura sono contrari alla modernità. Per questo sono indietro e non riescono a cogliere certi valori. Forse esagero, ma l’uomo di cultura si bea molto dell’elemento elitario che la cultura rappresenta. Ma questo rischia di portarlo a sottovalutare ciò che all’uomo di cultura, e quindi ad un essere pensante, si richiede, ci si aspetta da lui, e cioè che si spieghi la realtà esistente, se ne faccia contezza. E questo io lo vedo fortemente connesso col fatto che la società cammina. Il progresso non significa soltanto il miglioramento. Vuol dire anche l’aspirazione che abbiamo tutti noi che nell’incedere del nuovo, in tutti i campi e dunque anche in quello così cruciale come la giustizia, ci sia il meglio. Non è automatico, il progresso qualitativo nell’introdursi della novità. La novità esiste.

E questa novità, lei la vede nella riforma Cartabia?

La motivazione intrinseca del riformatore, e in questo caso della signora ministra, non può essere di natura restauratrice. Altrimenti sarebbe reazionaria, dittatoriale. Sarebbe oppressiva, perché la prima grande spinta che c’è nell’umanità a progredire, è il bisogno di superare le iniquità, le ingiustizie. Il diritto all’esistenza, non è riducibile solo al diritto alla sopravvivenza, a non morire. L’esistere ha in sé un elemento di qualità, non solo un dato statico di rivelazione dell’essere. Certo, esistere è sicuramente l’essere ma non è solo questo. Nell’essere c’è un processo di qualità e persino un’aspirazione ad essa.

In questa ottica, io ho visto nella riforma Cartabia un bisogno che la società progredisca. Che poi ci riesca, che poi azzecchi le misure giuste, questo lo dobbiamo verificare, non glielo puoi concedere in partenza, come un beneficio assoluto. Però valutiamola con ottimismo, portando noi stessi, continuamente, ognuno l’esigenza al progresso.

Per restare al tema. Secondo il procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri, e secondo diversi procuratori oltre all’immancabile Anm, con la riforma della prescrizione della ministra Cartabia, “il 50% dei processi sarà improcedibile”, per poi aggiungere: “Sarà più conveniente delinquere”. Non è una indebita invasione di campo?

Direi proprio di sì. E soprattutto è una valutazione aprioristica. Il terreno che viene descritto non può essere accolto fatalisticamente o come un’accusa al “Male”. Occorre essere attori di questa vicenda e promuovere, al contrario, il “Bene”. E quindi promuovere le misure che possono evitare questa catastrofe, che il tutto si risolva in una negazione. Perché altrimenti uno diventa un puro osservatore o addirittura un predicente di sventure. Dentro di noi, abbiamo una naturale predisposizione al lamento, che è la parte più “picciola” di noi. E rinunciamo alla grandezza dell’essere umano, che è rappresentata dalla vocazione all’eroismo. All’essere protagonista. A contare e non soltanto ad osservare. Confesso un mio peccato originale, che spero non sparisca: io sono comunista. Sono per una società di eguali e di giusti, che non ti viene regalata da nessuno. Se tu stai all’accettazione passiva della sventura, della determinazione negativa, non ne esci. Resti schiavo dei tuoi mali. Ma questo non può essere l’essere umano. perché l’essere umano è creatore, non subisce soltanto.

In un articolo sul Corriere della Sera dal titolo: “Riforma della Giustizia: Toghe e doppie verità”, Paolo Mieli esprime un timore e lancia un allarme. Il timore: “Che le loro istituzioni, a cominciare dal Csm, siano già sprofondate nel più assoluto discredito”. L’allarme: “Che procure, passate alla storia come templi della legalità, siano oggi sconvolte da lotte fratricide. Che dire?

Che il timore espresso da Mieli è reale e che il suo allarme va raccolto. Occorre affrontare questioni cruciali, come quelle sollevate da Mieli, con una forte determinazione di riforma, di cambiamento. Di affermazione di alcuni obiettivi generali che non possono essere minimamente inquinati da rischi di lottizzazione. Noi non possiamo pensare o comunque cedere al fatto che il mondo della giustizia si possa lottizzare. L’idea, panpoliticista, che tutto è politica, è un’idea arcaica, che forse aveva un senso alla partenza di un movimento di contestazione che era giusto che fosse tale, ma che se non prospetta, al di là della contestazione necessaria, della negazione dei privilegi del passato, soluzioni adottate, trattandosi di magistratura, col massimo equilibrio e salvaguardando il bene più prezioso della stessa, che è la sua indipendenza, la sua non piegabilità a interessi di parte, per quanto elevati, non ne usciamo. Allora, avanzo, timidamente, una riflessione: perché all’interno della magistratura si sono venute legittimando le correnti? La mia risposta è perché correnti vuol dire, nella lingua normale, politicizzazione dell’organo. È inevitabile che se tu articoli in correnti, l’ispirazione di ciascuna di esse, o almeno di alcune, è squisitamente politica. Le correnti diventano teatro di confronto squisitamente politico dentro la magistratura. Abbiamo vissuto per un lungo periodo in un clima di questo tipo. Io sono diventato più freddo nei confronti di questa idea. Non me la sento di dire, nettamente, non consentiamo le correnti dentro la magistratura. È un processo che deve maturare, non può essere un atto d’imperio. Però non favoriamo neanche una vita della magistratura che si fondi sulla vivacità pervasiva delle correnti e sulla contrapposizione fra di loro all’interno del corpo.

Dalla giustizia al dibattito a sinistra. “ll Pd e i suoi cespugli, inghiottiti dalla (anti) politica-rancore di Conte, sono destinati alla celere marginalizzazione. Non hanno la forza e il pensiero per riprogettare le funzioni dei soggetti della politica dopo la discontinuità qualitativa che Draghi ha immesso nella vicenda politica, sociale e istituzionale…”. Così Michele Prospero su questo giornale. È un’accusa impietosa?

Impietosa lo è certamente ma soprattutto, a mio avviso, connota un atteggiamento passivo, rinunciatario anch’esso. Che si crogiola nella contemplazione del “male”. Io non rinuncio all’idea che l’essere umano debba costruire il mondo. Ed è stato capace di farlo. È stato capace di annullare una ragione essenziale della nostra schiavitù: la forza di gravità. Noi siamo inchiodati a terra, ma ciò non ha impedito all’essere umano di volare e di andare negli spazi siderali. Perché l’essere umano ha inventato il motore, non si è limitato ad osservare il moto. Peccherò di ottimismo, ma io voglio vivere gagliardamente. Voglio illudermi di contare un tantino nell’esistente e non di subirlo e basta.

A proposito di “subire”. Nel PD e alla sua sinistra si continua a dibattere sul governo Draghi. La butto giù un po’ brutalmente: Mario Draghi per la sinistra è un’opportunità o un ostacolo?

È un’opportunità. Una grande opportunità. Perché è uno stimolo. Perché Draghi non rinuncia. In più ha detto una cosa che io condivido totalmente, a proposito della rinuncia al vaccino. Intanto, io sono contrario al fare del vaccino una questione di lana caprina dell’esistenza o meno della libertà. Perché se noi buttiamo tutti in questi termini, non faremmo mai niente. Perché qualunque iniziativa ti costringe in un ambito. Detto questo, Draghi sembra dire: signori, voi mi avete scomodato dal mio lavoro, buttandomi dentro questo casino che è la politica italiana. Se mi avete tirato per i capelli qua dentro, io devo far qualcosa.
Vede, io sono convinto che se non si scoprono gli antidoti, noi moriamo di malattia. Di fronte alla malattia, l’essere umano inventa la medicina. E la medicina è la violazione di una certa naturalezza, che è stata la mala sorte. Io sono contro la mala sorte.

Quindi si può dire, con una battuta finale, che Mario Draghi sia il “Medico dell’Italia”?

Sì. Ha sentito il ruolo di “medico”. E il medico se gli porti un malato, per quanto pessimistica sia la sua analisi clinica, non si limita a dargli la pilloletta, ma cerca in qualche modo di combattere il male. Non ce la fa, ahimè spesso capita, ma ci prova. E allora a Draghi io direi: Provaci, dammi retta, provaci. Perché il cervello ce l’hai, per inventare e non per registrare soltanto.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.