No vax: filosofi allo sbaraglio
La poliziotta no vax è meglio dei filosofi complottisti

Almeno la poliziotta gallonata che arringa la piazza di Roma, e incita alla disobbedienza aperta contro lo Stato che discrimina, merita il rispetto che sempre va riconosciuto a chi, a causa di un gesto riprovevole per un vice questore che indossa la divisa, comunque rischia di rimetterci le stellette. Senza dubbio una minore comprensione tocca invece ai filosofi che, sulle pagine dei giornali o nei talk show, sostengono le stesse tesi sulla “invenzione della epidemia” o sulla costruzione statale di una “classe discriminata” e però ad ogni invocazione di rivolta fanno seguire semplicemente un ennesimo articolo o un’altra apparizione televisiva.
Gli argomenti portati dall’alta funzionaria della questura a piazza San Giovanni sono i medesimi distribuiti dai filosofi che contro “i poteri dominanti” parlano della insorgenza di un vero e proprio “regime dispotico” che con un “gergo fascista” si caratterizza per la creazione repressiva di “cittadini di seconda classe”. A giudizio di Agamben la repubblica non è affatto una città democratica, si tratta anzi di un potere oppressivo che ferisce i corpi con grinfie persino peggiori del regime sovietico. Ciò perché il governo “ha abolito la costituzione in nome dell’emergenza” costruendo in soli pochi mesi una odiosa macchina di repressione e di “barbarie” che adotta per i non vaccinati “una stella gialla virtuale”. In nome della salute è stato addirittura abolito prima l’amore, poi la libertà, e infine il calore umano, e con lui un dopo l’altro Dio, l’uomo, la verità, la costituzione. Per questo, sostiene l’apocalittico Agamben, in Italia, un paese “umanamente e politicamente in sfacelo” e angustiato da una massa in preda “al terrore pseudoreligioso”, si sperimenta il laboratorio politico occidentale più sofisticato ed estremo con la intollerabile provocazione di un governo che culmina con le sue pratiche distruttive in “una tirannide senza scrupoli e decisa a tutto”.
Con le consuetudini dispotiche della “discriminazione calcolata” volta alla realizzazione di “un controllo minuzioso e incondizionato”, i cittadini vengono “censiti, sorvegliati e controllati in una misura che non ha precedenti anche nei regimi più totalitari”. La conseguenza di questo inferno totalitario che annichilisce l’umano in sé è che d’un tratto appaiono spezzati gli argini della legalità e aperti all’istante in un ritrovato stato di natura i sentieri di liberazione che autorizzano a gridare che ribellarsi è giusto. Per questo Agamben esorta “i dissidenti” contro la tirannide a non “deporre ogni possibile strumento di resistenza immediata”. Occorre subito, egli ammonisce, “creare qualcosa come una società nella società, una comunità degli amici e dei vicini dentro la società dell’inimicizia e della distanza”. Insomma la guerra contro il potere totalitario è una vera guerra giusta da dichiarare con fermezza per impedire l’autodistruzione dell’umano e garantire “l’umana sopravvivenza”.
Per sorreggere il compito di salvare l’umanità dal potere distruttivo serve ai “dissidenti” la sperimentazione di efficaci giochi di inimicizia che procedono secondo la scivolosa logica amico-nemico, noi-loro, autorità-ribelli. Agamben reputa indispensabile per sorreggere questo grandioso esercizio di rivolta la cura di una “nuova clandestinità”, che dovrà assumere forme mutevoli di lotta e comunque agire sempre rivendicando autonomia e estraneità rispetto alle istituzioni denunciate come complici di un autentico genocidio o “autodistruzione” dell’umano. Con il soccorso di questa ispirazione religiosa, con il tocco di una tale ansia profetica e con la potenza di una simile benedizione messianica, il “dissidente” è a tutti gli effetti un combattente fondamentalista che ha da parte il vero, l’assoluto, l’umano mentre il potere, i suoi funzionari e i suoi simboli incarnano semplicemente il falso, l’inganno, l’inumano.
La poliziotta, e con lei migliaia di manifestanti, credono a queste esortazioni mistiche dei filosofi e si atteggiano a “dissidenti” impegnati in una guerra giusta contro la tirannide caratterizzata dalla incrollabile credenza in una loro superiorità etica rispetto a quella del tutto degradata spettante agli altri belligeranti.
Forse a non prestare credito sino in fondo a questi inni di guerra etica contro lo Stato totale che intende proteggere anche la nuda vita degli intellettuali ottuagenari sono proprio i vari Cacciari, Vattimo, Canfora, Freccero, Agamben. Risulta assai difficile immaginare tutti costoro intenti a sgrassare gli anfibi, a preparare le munizioni e darsi alla macchia per unirsi, contro “il gergo fascista”, agli schiamazzi di Salvini e Meloni, aspiranti martiri della nobile battaglia antidiscriminazione. Li aspetta solo un altro articolo e un altro talk show. Per i filosofi la rivolta è solo ideale, perché protetta in nome della libertà della penna, per la poliziotta invece dopo la pubblica disobbedienza piovono sanzioni forse molto reali.
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