Che il Fatto veicolasse una cultura profondamente di destra era trasparente dalla foga antipolitica, dall’invocazione di sua maestà le manette, dall’inno al giudice come sommo custode di virtù. Ora la sua anima conservatrice emerge persino con innocenza dal titolo che Travaglio ha buttato in prima pagina: “Senza green pass, mamme e tate fuori da asili e scuole”. La cura della prole è questione solo di donna e guai a immaginare che un maschio possa recarsi con il pargolo nelle aule.

Ma un arsenale di armi più consistenti alla destra il foglio lo fornisce aizzando la rivolta contro il lasciapassare. In questa lunga commedia del green pass, dopo quella onnipresente dello storico e del filosofo pop, non poteva certo mancare la voce del rettore antifascista. Rivendicando l’eredità di “un altro rettore”, così egli chiama Concetto Marchesi e anche Piero Calamandrei, il magnifico di Siena incita alla lotta contro la oppressione governativa che con «l’arbitrio, la discriminazione» sta sfigurando l’Italia. Il possibile contagiato, che entrando in relazione ravvicinata con molti soggetti mette a rischio la vita altrui, è una bazzecola. Il soggetto più debole, da tutelare con tutte le risorse dell’ordinamento, non è la persona fragile che, venendo a contatto con il virus, rischia anche la propria pelle.

Quella che l’autorità dovrebbe proteggere è la persona che, in preda a un raptus di superomismo, per sue convinzioni individualistiche strampalate o meno, insomma per il rifiuto di una nozione di comunità e di responsabilità pubblica, rivendica, come prova di libertà o di volontà di potenza poco importa, la possibilità di recare danno al corpo altrui.
Tra la vita da difendere dai rischi di un possibile contagio che può persino rivelarsi letale e la privazione della possibilità di frequentare spazi comuni senza una prova di immunità secondo Tomaso Montanari ha la meglio chi si ribella al foglio verde. Per lui chi, dopo aver rifiutato il vaccino grida anche contro il tampone, è un legittimo ribelle contro l’odioso simbolo di una novella e «sempre più violenta caccia alle streghe». La discriminazione del lasciapassare insomma andrebbe tolta all’istante per affidare la materia dell’obbligo ai tempi biblici di una legge. E tanto peggio per l’economia in ginocchio, gli ospedali distrutti, per le cure rinviate, per i morti che continuano ad esserci. Evoca un capiente cimitero con ospedali al collasso e lo chiama libertà, anzi inclusione.

In un solo attimo, provocato dal lasciapassare («misura senza veri paragoni all’estero»), il rettore accantona l’anacronistico ritornello antifascista e l’incubo delle foibe per indossare gli abiti, ai tempi sicuramente più congeniali, di “rettore anti-passista” che comprende i contorcimenti dei poveri professori no-vax e difende i protagonisti alla Cacciari di infiniti talk show ritenuti vittime di «un inaccettabile linciaggio politico-mediatico». Cacciari che nella tv pubblica da costituzionalista annuncia «la fine della democrazia» e da virologo certifica la scomparsa dell’emergenza pandemica (e che da medico proclama che «i vaccini non sono abbastanza sicuri» e «molto precari») dovrebbe semplicemente rassegnarsi ad accettare il monito di Copernico: «Mathemata mathematicis scribuntur». Ecco Cacciari e Montanari: la virologia lasciatela ai virologi.

Anche grazie al clima di opinione degli intellettuali mobilitati contro la carta verde, la destra radicale riesce a bloccare i progetti di estensione del lasciapassare come strumento per salvare vite. Il rettore anti-passista, quando stigmatizza le demonizzazioni di chi nel governo con il pass usa la “logica del nemico pubblico”, parla lo stesso linguaggio di Giorgia, la afascista e usa le medesime immagini di Matteo, il capitano nero. Si scomodano i fantasmi dei fascisti di ieri per fornire le munizioni a quelli di oggi. Le carte nere di Pino creano più imbarazzo della condivisione delle mortifere battaglie no-pass dei camerati di Isabella Rauti. “Meravijoso”, direbbe Michetti.