Italiani popolo di santi, poeti, navigatori, ma anche di creduloni complottisti. È lo spaccato che emerge dal 55esimo Rapporto Censis sulla situazione sociale del paese, in cui l’istituto di ricerca socio-economica presieduto da Giuseppe De Rita evidenzia che “accanto alla maggioranza ragionevole e saggia si leva un’onda di irrazionalità” considerata “la spia di qualcosa di più profondo: le aspettative soggettive tradite provocano la fuga nel pensiero magico”.

I numeri raccontano un Paese in preda al complottismo più becero: per il 5,9% degli italiani, circa 3 milioni di italiani, il Covid semplicemente non esiste, nonostante gli oltre 5 milioni di casi accertati e i 134mila morti per il virus.

Quanto al vaccino, per il 10,9% è “inutile ed inefficace”, mentre resiste forte la bufala del vaccino “farmaco sperimentale” con le persone che si vaccinano che “fanno da cavie”, convinzione forte nel 31,4% degli italiani. Le convinzioni anti-scientifiche sono infatti fortemente radicate: per il 12,7 per cento degli italiani, spiega il Censis, la scienza “produce più danni che benefici”.

Il rapporto sottolinea come nel Paese si osserva “una irragionevole disponibilità a credere a superstizioni premoderne, pregiudizi antiscientifici, teorie infondate e speculazioni complottiste”. Un esempio? Il 19,9% degli italiani considera il 5G uno strumento molto sofisticato per controllare le menti delle persone, mentre passando al negazionismo storico-scientifico si scopre che ancora oggi il 5,8% è sicuro che la Terra sia piatta e il 10% è convinto che l’uomo non sia mai sbarcato sulla Luna.

Il report del Censis smentisce però legami tra complottismo e scarsa scolarizzazione. Il 33,5% di coloro che credono alla teoria dei vaccini “sperimentali” ha ottenuto il diploma, addirittura il 24,% è laureato: sempre tra i laureati l’11 per cento creda al 5G come strumento di controllo delle menti, mentre il sette per cento all’allunaggio come bufala diffusa dagli Stati Uniti come strumento di propaganda.

Secondo il Censis l’ondata di irrazionalità si manifesta non soltanto come una “distorsione legata alla pandemia”, ma ha “radici socio-economiche profonde”. Il riferimento è infatti al cosiddetto “ciclo dei rendimenti decrescenti degli investimenti sociali”, con la fuga nel complottismo esito anche di “soggettive insoddisfatte”.

Non è un caso dunque che 81% degli italiani ritiene che oggi è molto difficile per un giovane vedersi riconosciuto nella vita l’investimento di tempo, energie e risorse profuso nello studio. Il 35,5% è infatti convinto dell’inutilità dell’impegno nel tentativo di conseguire una laurea, un master o una specializzazione, per poi ritrovarsi con guadagni minimi e rari attestati di riconoscimento. Anche per questo ben due terzi degli italiani, il 66,2%, crede che nel nostro Paese si viveva meglio in passato.

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Romano di nascita ma trapiantato da sempre a Caserta, classe 1989. Appassionato di politica, sport e tecnologia