Il piano del governo tra promesse e realtà
Reddito di cittadinanza, Meloni prepara la ‘sforbiciata’ per 660mila percettori: ma c’è il nodo dell’inserimento al lavoro
Cambiare, modificare, ‘tagliare’, ma il Reddito di cittadinanza non potrà rimanere lo stesso. Lo ha promesso più volte in campagna elettorale Giorgia Meloni e il centrodestra, e la premier lo ha ribadito anche nel suo discorso programmatico alla Camera per la fiducia al governo.
La misura di sostegno resterà “per i soggetti effettivamente fragili non in condizioni di lavorare” mentre per gli altri, “per chi è in grado di lavorare, la soluzione non può essere il reddito di cittadinanza, ma il lavoro, la formazione e l’accompagnamento al lavoro”, aveva detto il presidente del Consiglio.
E in effetti il dibattito, anche all’interno della stessa maggioranza di governo, è già iniziato. Il vicepremier Matteo Salvini, tra i più duri contro il RdC pur avendolo votato ai tempi della maggioranza giallo-verde del primo governo Conte, ha proposto di di sospendere per sei mesi la misura “a quei 900mila percettori del reddito che sono in condizioni di lavorare e che già lo percepiscono da diciotto mesi” e utilizzare le risorse risparmiare, circa un miliardo per prorogare Quota 102 nel 2023, ha detto nella sua intervista a Bruno Vespa per il libro ‘La grande tempesta’.
La cifra di Salvini in realtà non è corretta. Come chiarito dall’Anpal, l’Agenzia nazionale politiche attive del lavoro, i beneficiari del reddito di cittadinanza indirizzati ai servizi per il lavoro sono 919.916, ma a questi vanno tolti 173mila (18,8%) che risultano già occupati (i cosiddetti working poor, lavoratori a basso stipendio e col diritto di ricevere il sussidio) e gli 86mila (9,4%) esonerati, esclusi o rinviati ai servizi sociali.
Dunque i veri ‘occupabili’, quelli tenuti alla sottoscrizione del patto per il lavoro e su cui arriverà la stretta decisa dal nuovo esecutivo, sono circa 660mila. Ma anche per queste persone in realtà la ‘promessa’ di Giorgio Meloni, ovvero tagliare il Reddito di cittadinanza per puntare al “lavoro”, sembra essere difficile da realizzare.
Sempre l’Anpal sottolinea come in questa platea il 72,8%, corrispondente a 480mila persone, “non ha avuto un contratto di lavoro subordinato o para-subordinato negli ultimi 3 anni”. Il motivo? Anche dovuto al difficile inserimento nel mondo del lavoro con scarsi titoli di studio, considerando che “nel 70,8% dei casi hanno conseguito al massimo il titolo della scuola secondaria inferiore” e “solo il 2,8% presenta titoli di livello terziario, mentre un quarto ha un diploma di scuola secondaria superiore”.
A sottolinearlo al Sole 24 Ore è anche l’Associazione nazionale dei navigator, figure professionali alle quali era stato affidato il compito dell’inserimento lavorativo dei percettori del Rdc, con i loro contratti in scadenza.
“Formalmente possono anche essere occupabili – spiegano – il punto è che sono poco appetibili per le aziende, interessate a profili già formati e già pronti a lavorare”. Da legge il percettore del sussidio che ha sottoscritto il Patto per il lavoro è tenuto ad accettare almeno una di due offerte di lavoro congrue, ma “molto spesso non si arriva neanche alla prima offerta”, ammettono dall’associazione dei navigator.
Un problema certificato dai numeri, nudi e crudi, evidenziati dal giornale di Confindustria: su un totale di 503mila usciti dalla percezione del reddito di cittadinanza nei primi sei mesi del 2022, quelli che hanno una nuova occupazione sono 114.864, che diventano 202mila considerando anche gli altri componenti del nucleo con un nuovo impiego.
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