Giorgia Meloni, nel suo discorso alla Camera, ha tentato di nascondersi un po’. Si è mostrata draghiana in economia e persino forlaniana nel modo di esporre le sue idee (Forlani è stato un importante leader della Democrazia cristiana, celebre per la sua capacità di parlare facendo il giocoliere con le parole e restando sempre nel vago). In parte l’operazione le è riuscita.

Però lo schema è saltato nella replica. È vero che Giorgia Meloni ha giurato che in economia non si discosterà neppure un centimetro dal draghismo (ma allora – viene da chiedersi – perché lo avete mandato via?). Però su alcune questioni (quattro) politicamente centrali ha mostrato il suo volto marcatamente di destra.

1) L’elogio del merito e l’idea che l’istruzione deve essere improntata ad una idea meritocratica e selettiva.

2) La guerra ai profughi, in stile salviniano e mentre il ministro dell’Interno annuncia che la battaglia alle Ong sarà senza quartiere.

3) La guerra, terreno sul quale ha rinunciato ad ogni sovranismo e ha dichiarato la dipendenza dagli Usa (in questo, di nuovo, replicando Draghi).

4) Infine alla giustizia. Non ha parlato di possibili riforme, né di separazione delle carriere né di inappellabilità delle assoluzioni (idee che erano state presenti nella campagna elettorale del centrodestra) e ha chiamato tutti a unirsi per evitare che sia restituito il carcere alla civiltà con l’abolizione del 41 bis e dei reati ostativi. Poi ha insistito sulla formula della certezza della pena.

È sempre bene aspettare, prima di giudicare un governo. Spesso i governi tradiscono le promesse. Speriamo che anche il governo Meloni le tradisca.

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.