Credo che abbia fatto molto male Enrico Letta a farsi sfuggire quella frase su Giorgia Meloni e la cipria. Non penso che la sua battuta fosse sessista, nelle intenzioni, oggettivamente però sessista è risultata. E ha finito per fare da contrappeso alle ignominie qualunquiste del Fatto e dei giornali di destra contro Elisabetta Piccolotti e Michela de Biase, dirigenti di Sinistra Italiana e del Pd. Sarebbe ora che i politici italiani maschi la smettessero di considerare l’esser donna un handicap da sottolineare o qualcosa di buffo da sbeffeggiare. O almeno cercassero di levare questa convinzione dai loro automatismi retorici. Che sono un po’ come il braccio teso che il dottor Stranamore non riesce a trattenere.

Detto questo, e dopo aver ascoltato il discorso alla stampa estera di Giorgia Meloni, secondo me un problema che la riguarda, in questa campagna elettorale, è sul tappeto. La vecchia questione del fascismo. Che è stata sempre presente nelle polemiche politiche italiane, ma di solito come fattore laterale alla battaglia politica. Stavolta assume un valore particolarissimo per due ragioni, Una casuale, ma simbolicamente di grande peso, e cioè la coincidenza delle elezioni con il centenario dei giorni tragici nei quali fu preparata e poi realizzata la marcia su Roma di Mussolini. L’altra, molto più stringente, che consiste nella altissima probabilità che per la prima volta nella storia della repubblica un’erede del Msi, che fu erede del fascismo, possa assumere la guida del governo.
Qual è il problema, che Meloni è fascista? La conosco abbastanza bene: non è fascista.

Il problema è che il fascismo in Italia è stato al potere, ha provocato inauditi disastri, ha facilitato lo sterminio degli ebrei, ha portato il paese alla rovina, e alla fine è stato fortunatamente sconfitto dagli eserciti alleati con l’aiuto valoroso, e in molti casi eroico, della resistenza, cioè dei partigiani comunisti, socialisti, liberali e cattolici. E che di conseguenza l’antifascismo è diventato un valore fondante della repubblica, ed è stato per decenni il baluardo contro ogni tentazione autoritaria. Giorgia Meloni è stata chiara, nella dichiarazione alla stampa estera: Il fascismo per noi è il passato. Chiara, ma non chiarissima. Trascrivo qui di seguito il passaggio decisivo della sua dichiarazione: “La Destra italiana ha consegnato il fascismo alla storia ormai da decenni, condannando senza ambiguità la privazione della democrazia e le infami leggi anti-ebraiche. E senza ambiguità è ovviamente anche la nostra condanna del nazismo e del comunismo, l’unica delle ideologie totalitarie del XX secolo che è ancora al potere in alcune nazioni, sopravvivendo ai suoi tragici fallimenti, che la sinistra fatica a condannare, forse anche perché dall’Unione Sovietica ha ricevuto per decenni generosi finanziamenti”.

Ci sono due punti deboli in questa dichiarazione. Il primo è che Giorgia Meloni inizia condannando alcune infamie del fascismo ma poi trasforma la sua polemica in polemica anticomunista. Non funziona. Il problema dell’Italia non è stato quello di essere stata governata per vent’anni (o per dieci, cinque, uno solo…) da una dittatura comunista, ma di essere stata governato per vent’anni da una dittatura fascista. Non è un dettaglio. Se io fossi ungherese credo che mi dichiarerai sicuramente anticomunista, perché il mio paese – l’Ungheria – è stato oppresso dal comunismo russo e ungherese. Ma l’Italia è stata oppressa dal fascismo, e il comunismo italiano è sempre stato perfettamente democratico. E se poi vogliamo andare a vedere perché, al fondo, il Pci (e anche il Msi), sono stati partiti democratici, torniamo al punto di partenza: non potevano fare altrimenti perché in Italia dominava il valore dell’antifascismo. Inteso come difesa dei valori della democrazia, della libertà, della tolleranza, dello stato di diritto, della lotta alla sopraffazione e alla repressione. E io oggi aggiungo: del garantismo. Cara Meloni, la chiave di tutto è lì: nella definizione dell’antifascismo, che è una grande idea liberale e libertaria e non è solo la condanna per la storia del mussolinismo. Non basta condannare Mussolini, o alcune sue scelte, per essere antifascisti.

Possibile che la destra italiana, ciclicamente, debba tornare al punto di partenza? Almirante sicuramente guidò un partito democratico, e inventò quella formula del “né restaurare né rinnegare” che ebbe successo, ma certo non fu una rottura col fascismo. Era molto ambigua. Fini andò oltre, prima divise in due la storia del fascismo, disse che c’era una storia buona fino all’entrata in guerra (in quel periodo Mussolini fece uccidere Matteotti, arrestare Gramsci e Terracini, spedire in esilio Sturzo, Nenni, Rosselli, Saragat, De Gasperi, e alcune altre migliaia di esponenti democratici) e poi una storia cattiva con le leggi razziali e la guerra. Qualche anno dopo andò oltre e parlò di “male assoluto”: ma si riferiva ad Hitler e non a Mussolini. Ecco, onorevole Meloni, ora tocca a lei. Ha l’occasione per fare chiarezza assoluta. Pronunciare quella frase che assomiglia al Rubicone: “Sono Giorgia e sono antifascista”. Perderà il 2 per cento dei voti? Può darsi. Però avrà trasferito in modo definitivo e irreversibile la destra italiana nel campo della democrazia. Non le sembra che valga la pena?

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.