Claudio Petruccioli, Presidente Rai dal 2005 al 2009, dirigente Pci dai tempi della Fgci (fu segretario dei giovani comunisti dal 1966 al 1969, anni cruciali) è stato due volte deputato e per tre mandati senatore. È stato Presidente Rai dal 2005 al 2009. Tra i fondatori dell’associazione riformista Libertà Eguale, ha sottoscritto un appello per 3 Sì ai quesiti insieme a Enrico Morando, Stefano Ceccanti e molti altri.

Questo vostro appello vuol essere uno stimolo che sprona il centrosinistra?
Ho firmato questo appello perché condivido lo spirito con cui con Libertà Eguale si discute di giustizia. E con quelle persone conduco una battaglia sulle questioni della giustizia che vanno nella direzione di una riforma profonda. La mia battaglia in questo senso risale al 1987, quando ci fu la delega per la riforma del codice di procedura penale, e si passò dal rito inquisitorio al rito accusatorio.

Da lì in poi si capì che le carriere (o le funzioni!) dovevano essere disgiunte?
Sì perché fu un cambio di passo procedurale dirimente. Un bivio. Il rito precedente, quello istruttorio, prevedeva una prima fase affidata al giudice istruttore, che conduceva l’istruttoria con elementi volti alla ricostruzione dei fatti che accertava per poi passare alla fase dibattimentale. La fase istruttoria prevedeva il proscioglimento, se il reato non esisteva. Se si arrivava al rinvio a giudizio, seguiva il dibattimento. Questa struttura del processo penale giustificava, e questo è il punto fondamentale, il fatto che esistesse una carriera unica nella magistratura. Perché in effetti il dibattimento tra accusa e difesa si svolgeva sulla base dei dati risultanti dalla sentenza istruttoria. Quella prima fase era volta a raccogliere tutti i dati, inclusi quelli della difesa.

E poi la procedura cambiò, ma la separazione necessaria tra le carriere non si verificò…
Quando si passò al rito accusatorio, non c’era più la base organizzativa che giustificasse l’unicità delle carriere. Perché un conto era la carriera del Pm, altro quello del giudice, che è giudice terzo e quindi parte neutra, parte terza. Quando poi la terzietà del giudicante è stata introdotta in Costituzione, la cosa emerse nel modo più clamoroso. Ecco perché ancora nel Pci ci battemmo per questa battaglia, condivisa da tanti tra i quali lo stesso Giovanni Falcone. Questi quesiti indicano aspetti diversi, ma per me il punto centrale è separare le carriere. Lo dobbiamo allo Stato di diritto, alla logica, perfino alla Costituzione.

Si va a celebrare questo referendum quando è in corso un avvio di riforma in sede legislativa. E nella riforma Cartabia si può passare una sola volta dalla magistratura accusatoria a quella giudicante, mentre adesso l’attribuzione delle funzioni può avvenire in qualsiasi momento.
Su questo come su altri punti la Riforma Cartabia è troppo timida. E invece è il momento di avere coraggio. Anzi sa cosa le dico? Che io non voterò solo tre sì. Voterò cinque si. Perché c’è anche una questione di carattere politico. Perché voglio vedere quanto nell’opinione pubblica sia diffusa la necessità di porre mano a una riforma importante: negli ultimi decenni sono stati alterati i rapporti tra i poteri.

Auspicava più coraggio anche nel Partito Democratico?
Il Pd ha al suo interno posizioni diverse. Se si dovesse fare un referendum interno tra iscritti e elettori, la maggioranza direbbe che è indispensabile una riforma molto profonda della magistratura. Quindi cosa può fare il segretario del Pd? Ha una situazione interna complicata, è il principale sostenitore del governo, che sta tentando sia pure timidamente di mettere mano alla riforma, è evidente che non si può mettere a fare la sfasciacarrozze. Letta ha detto la sola cosa che poteva dire: ci affidiamo al rapido procedere dell’iniziativa della ministra Cartabia, ma comprendiamo le ragioni di chi, tra i nostri, voterà Sì. Anche perché per definizione i referendum sono fatti per pronunciarsi sulla base delle convinzioni personali.

Altri partiti sono stati più netti nelle indicazioni.
Ai referendum, a tutti i referendum, i partiti si dovrebbero astenere dal dare indicazioni. Ci deve essere un dibattito pubblico aperto, se si vuole fare di questa occasione una opportunità di arricchimento della democrazia, mentre oggi è diventato una forma di strumentalizzazione politico-partitica. Io andrò a votare con convinzione, ma so già che superare il quorum sarà difficile. Sarà interessante vedere se dove si vota anche per le amministrative, questo fatto ha una incidenza sulla percentuale di partecipazione al referendum.

La Rai non le sembra assente?
Il servizio pubblico non potrà essere assente. Conosco le dinamiche. Le elezioni e i referendum sono regolate da norme dettate dalla commissione di vigilanza Rai e da AgCom. Ci sarà un diritto di tribuna elettorale per tutti. L’AgCom detta anche le regole di ingaggio per le private. Funziona così, ma attenzione: non dico che sia un bene. Quando mi sono occupato di Rai ero favorevole all’eliminazione della par condicio, perché se ci si attiene con rispetto burocratico alle regole, davvero si finisce per fare scarsa informazione. E invece il dibattito si dovrebbe sviluppare in tutti i talk, per il meritato approfondimento che queste questioni richiedono. Si va invece avanti con talk show sempre più discutibili.

Si dice “Questi quesiti sarebbero complicati da spiegare”
Ma allora scusate, qual è la missione, la funzione, lo scopo della televisione? Dire banalità e far ridere la gente? Ma io mi rifiuto di pensare che tutti gli italiani siano incapaci di comprendere e mi addolorerebbe pensare che il servizio pubblico assuma la certezza di parlare a un pubblico di ignoranti.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.