Il disprezzo per la volontà popolare
Referendum sulla giustizia, l’Anm si scaglia contro i quesiti: “A rischio la democrazia”
La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione (art. 1). Tra le forme previste vi è il referendum abrogativo (art. 75). Ma se qualcuno lo promuove sul tema della giustizia occorre «una ferma reazione». Così l’Associazione Nazionale Magistrati per bocca del suo Presidente, Giuseppe Santalucia. Il primo pensiero, alla lettura delle agenzie, è che si tratti di una fake news, diffusa da chi vuol denigrare il sistema giustizia: non può essere vero che la magistratura associata abbia pronunciato parole così eversive dell’ordine costituzionale.
Ed invece non solo la notizia è confermata, ma le ragioni offerte per spiegare la posizione sono, se possibile, ancora più allarmanti. Innanzitutto, una reprimenda per la Lega, in quanto, sebbene forza di maggioranza, «il fatto stesso che si porti avanti il tema referendario sembra esprimere un giudizio di sostanziale inadeguatezza dell’impianto riformatore messo su dal governo». E poi una denuncia di lesa maestà: promuovere il referendum «fa intendere la volontà di chiamare il popolo a una valutazione di gradimento della magistratura, quasi a voler formalizzare e cristallizzare i risultati dei vari sondaggi di opinione che danno in discesa l’apprezzamento della magistratura». Ed a questa perdita di gradimento come si pone rimedio? Occorre rifarsi al modello di magistrato «che leggi e codice etico tratteggiano, noi ne siamo i soli possibili interpreti». In buona sostanza, la giustizia è affar nostro ed è deprecabile che su questo tema si voglia addirittura dare la parola al popolo.
L’autoreferenzialità corporativa, che trasuda da queste parole, pur essendo in sé stessa la manifestazione di una grave degenerazione non è neppure la questione più grave che le parole del Presidente dell’Anm aprono. In esse, infatti, diventa difficile non leggere un sostanziale disprezzo per la volontà popolare. La quale è vero che è titolare della sovranità, ma a condizione che non disturbi il manovratore. E, in tema di giustizia, l’unico soggetto legittimato a dire l’ultima parola è la magistratura associata. Sennonché, una tale posizione appare del tutto inadeguata di fronte al degrado che hanno portato alla luce non solo lo scandalo Palamara, ma anche, e forse soprattutto, la vicenda Eni e la vicenda dei verbali di Amara.
Queste vicende hanno dato conto di un sovvertimento di alcuni principi fondamentali; sovvertimento che ha portato, da un lato, la magistratura a mettere sotto una tutela, tanto pervasiva quanto inammissibile, gli altri poteri dello Stato, e, dall’altro, ad attribuire un ruolo assolutamente preminente, financo di guida morale, agli uffici della Pubblica Accusa. Come sempre succede, quando vengono alterati gli equilibri istituzionali, la conseguenza è una profonda corruzione del sistema. Per rendersene conto, basta fare una riflessione. Se quello che ha scritto il Tribunale di Milano sulle prove nascoste dalla Pubblica Accusa nel processo Eni è vero, gli interrogativi che ne discendono sono terribili.
Considerata l’importanza del processo e la posizione apicale dei magistrati coinvolti, si può essere tranquilli che si è trattato di un episodio eccezionale, o si deve temere che si sia trattato di un comportamento che ha segnato anche altri processi? Un dubbio del genere non è tale da incrinare alle fondamenta la fiducia nel sistema democratico? E la lotta, senza esclusione di colpi, giocata da cordate di magistrati e di politici, messi insieme per controllare la nomina alle funzioni di Procuratore della Repubblica delle grandi città, non rafforza questo dubbio? Se le Procure fossero realmente soggette alla regola della obbligatorietà dell’azione penale ed alla regola che impone all’Accusa di ricercare anche le prove a favore dell’imputato, perché tanto accanimento nello scegliere i capi? Solo per questioni di onori ed orgoglio di carriera?
Evidentemente la posta in gioco è molto più alta: il ruolo implica l’esercizio di un potere che, nel tempo, è divenuto spesso smisurato. Incompatibile con le regole fondamentali di uno stato democratico. Di fronte ad una degenerazione di questa entità e di questa profondità, diventa davvero inevitabile chiedersi con quale credibilità e serietà si possa mettere in discussione la legittimità dei referendum sulla giustizia. A ben vedere, proprio la profondità della crisi della giustizia e la circostanza che la stessa vede coinvolte alcune frange della politica, rende i referendum non solo opportuni, ma addirittura necessari. Ciò, tanto più ove si consideri la sostanziale inconsistenza delle proposte elaborate dalla Commissione presieduta dal prof. Luciani e dedicata alle modifiche da apportare all’ordinamento giudiziario.
Resta, tuttavia, da svolgere un’ultima considerazione. La posizione espressa dall’Anm, di svuotamento del valore da attribuire alla volontà popolare, non è isolata. Essa coincide con la posizione assunta ormai da tempo da alcune forze politiche, tra cui spicca il Partito Democratico. Anche nelle istituzioni si è andata consolidando la posizione secondo cui dare la parola ai cittadini è il male peggiore. Ne è conferma la lunga sequela di governi, privi di reale investitura popolare, che ha governato l’Italia nell’ultimo decennio. Questo Parlamento è chiamato ad approvare riforme che incideranno a lungo sulla vita del paese e sul futuro delle prossime generazioni. Sotto alcuni profili si dovrebbe trattare di una vera e propria rifondazione dell’Italia. Eppure, questo Parlamento non è più espressivo, da molto tempo, del sentire e degli orientamenti degli italiani. Si tratta, evidentemente, di uno iato che rischia di mettere a rischio la credibilità delle riforme ed il consenso sulle stesse.
In questa prospettiva, la solenne affermazione della appartenenza al popolo della sovranità appare essere diventata sempre di più una formula vuota, destinata necessariamente, si potrebbe dire istituzionalmente, a cedere il passo agli intrighi di palazzo. La posizione dell’ANM si iscrive a pieno titolo in questo orientamento. Bisogna anche dire che si tratta di un calcolo miope. Chi, alla lunga, esce rafforzato dal disprezzo verso i cittadini e la sovranità popolare è il populismo. Disconoscere il significato ed il valore delle consultazioni popolari significa creare le premesse per il consolidarsi di una irresponsabilità e di un ribellismo diffusi. Significa, in altri termini, favorire la lacerazione dei fili che tengono insieme il tessuto democratico. E, perciò, significa essere eversivi. Le conseguenze possono essere terribili.
© Riproduzione riservata