Buon sangue non mente. Goffredo Bettini, figlio di un importante avvocato penalista, non ha mai condiviso fino in fondo una certa deriva giustizialista di cui si è intriso il centrosinistra. E ieri con la sua lettera al Foglio è sembrato voler avvisare che la strada parlamentare rischia di essere troppo lunga e scivolosa, di fronte alla diga che separa magistratura e paese reale, sistema-giustizia ed esigenze del Recovery.

Per far saltare quella diga, conclude Bettini, serve la dinamite del referendum. «La giustizia è in una situazione di evidente crisi. Su questo, ormai, c’è un’opinione da più parti consolidata. Occorrerebbe una riforma forte e giusta, in grado di superare le difficoltà che la rendono inefficace. Oggi prevale un’incertezza per le vittime del crimine e per gli imputati; per il prestigio della magistratura che ha lasciato negli ultimi decenni tanti eroici suoi rappresentanti sul selciato delle nostre strade per aver compiuto il proprio dovere; per chi vuole intraprendere attività economiche, produttive o di servizio per la comunità. Prevale la confusione e una discrezionalità malata», scriveva nella sua analisi Goffredo Bettini, membro influente della direzione Pd da sempre mal allineato con Enrico Letta. E conclude: «In piena libertà, con una scelta personale che non impegna altro che me stesso, non posso rimanere indifferente rispetto ai quesiti referendari promossi sul tema della giustizia dal Partito radicale».

Ma Bettini non parla mai solo per Bettini. Il suo è un nome collettivo. È il rappresentante di un’area, la sua, che sta prendendo forma con una istanza di autonomia. Una corrente che con il nome di Agorà è stata presentata da Bettini lo scorso aprile e ha l’ambizione di rappresentare una parte della sinistra Pd che si richiama all’esperienza del governo Conte. E a quella, maligna qualcuno, del governo D’Alema. Non a caso la sua missiva ha spiazzato tutti, ma arriva sull’onda – e sullo stesso Foglio – delle dichiarazioni con cui Di Maio chiedeva scusa per gli eccessi forcaioli con cui ha cavalcato a lungo gli istinti della piazza. E gioca di sponda con le precisazioni di Conte, che con un post dribbla Di Maio ricordando che «Il Movimento 5 Stelle sta completando un processo di profonda maturazione collettiva. In questo nuovo corso, riconoscere come errori alcuni toni e alcuni metodi usati in passato – come ha fatto Luigi Di Maio – vuol dire segnalare, anche all’esterno, alcuni fondamentali passaggi di questo importante processo di maturazione», precisando però che «il Movimento non può derogare alla sua storia».

Di Maio, Conte e Bettini suonano con strumenti, toni e tempi diversi lo stesso spartito, affinando la musica per il gran concerto di fine anno: senza una riforma complessiva e coraggiosa della giustizia, l’intero Pnrr rischia di rimanere lettera morta. Ed ecco che timidamente nel Pd si fa strada l’ipotesi di dare una chance ai quesiti referendari sulla giustizia. «Sui quali aspettiamo il giudizio di ammissibilità», premette Luciano Violante. Rompe invece gli indugi senza pensarci due volte l’ex governatore della Toscana, il Dem Enrico Rossi: «Sulla giustizia bisogna aprire un ragionamento ampio e sereno troppe volte evitato a sinistra. È tempo di uscire dalla fase del giustizialismo e del populismo». Rossi si schiera con Bettini: sì ai referendum di Lega e Radicali (esclusa la responsabilità civile dei magistrati). Rassicurando: «Non è una mina per Draghi, no a chiusure corporative ma anche a strumentalizzazioni politiche perché il tema è nei fatti oltre gli schieramenti».

L’on. Walter Verini, parlamentare umbro da tre legislature in commissione Giustizia, è fedele all’Aula. «Per il PD la strada maestra è una: fare le riforme in Parlamento. È un’occasione storica per il Paese: nel Civile, nel Penale, per la riforma del CSM. Ed è un obbligo: se Parlamento e Governo fallissero, l’Italia rischierebbe anche di perdere i finanziamenti del Recovery. I referendum rischiano invece non di stimolare ma di ostacolare il cammino delle riforme, che potrebbero chiudere la ‘guerra dei trent’anni’ sulla Giustizia, rendere civile ed europeo il sistema, nel solco della Costituzione. Bettini, come spesso fa, ha voluto offrire uno stimolo alla discussione. Oggi però è il momento delle riforme parlamentari, contrastando le furbizie propagandistiche dei Salvini di lotta e di governo». Tema, questo, su cui è ancora Enrico Rossi a prendere la parola: «Il ragionamento è più ampio dei referendum: serve una riforma profonda per ridare credibilità e autorevolezza alla magistratura, restituirle la fiducia dei cittadini. È ora di affrontare questi temi e non lasciarli più alla destra».

Ma per il resto, nel Pd è stata una giornata di bocche cucite. La fuga in avanti di Bettini cade nel gelo: non parlano la responsabile giustizia, Anna Rossomando; Matteo Orfini non risponde; Andrea Orlando tace. L’ex sindaco di Genova Claudio Burlando, uno che la malagiustizia l’ha vissuta e pagata sulla sua pelle, confida nel governo. «La riforma della giustizia è assolutamente necessaria. Ho qualche dubbio però che vada fatta con i referendum», dice Burlando all’Adnkronos. «Il referendum può essere stimolo ma vorrei vedere un Parlamento che entro quest’anno, questa riforma la chiude. E poi la via referendaria è lunga mentre mi sembra che l’Europa ci chieda un segnale molto prima. Ci sono tutte le condizioni per riuscirci: una base parlamentare variegata ma amplissima, un ministro -la Cartabia– di grande competenza. Draghi sta marciando: il Pnrr, le Semplificazioni, la governance… a questo punto serve una riforma fiscale come si deve e quella della giustizia».

Alla conversione garantista di Bettini crede poco Italia Viva, che parla tramite Davide Faraone: «Siamo stati un anno a battagliare con il M5S sulla giustizia. Noi garantisti, il M5S giustizialista, il Pd si girava i pollici e Bettini amoreggiava con Conte e Bonafede. Oggi leggere il suo appello a non snobbare i quesiti referendari dei radicali è a dir poco esilarante». Eppure proprio Di Maio e Bettini insegnano che non va mai persa la speranza, il miracolo della conversione è sempre possibile.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.