In tutti questi anni ci siamo trovati molto spesso, noi europeisti a far campagna proponendo e sostenendo la necessità di arrivare a costruire “Gli Stati Uniti d’Europa”.
Lo slogan individuato è da sempre un claim semplice, immediato e quindi facilmente spendibile. Dopo però decenni di campagne elettorali per le europee sempre più di taglio europeo, nonostante i rigurgiti di provincialismo del nostro Paese, è legittimo porsi un dubbio: ha funzionato? Siamo riusciti a convincere la maggioranza dei nostri concittadini dell’esigenza storica di costruire uno Stato federale europeo?
Personalmente, alla luce dell’emersione sempre più crescente delle forze sovraniste, mi sento di rispondere di no.
Ritengo che “Stati Uniti d’Europa”, pur rimanendo un’ottima semplificazione giornalistica, sia stata percepita nel corso degli anni come, appunto, una soluzione semplice a problemi complessi, condita da un sapore esterofilo, che richiama all’America, e che sa quindi di colonialismo semantico, prima che culturale. Ciò non ha contribuito all’interiorizzazione dell’esigenza federalista da parte degli europei.

Se vorremo provare a lanciare una vera sfida per l’egemonia culturale, dovremmo avere il coraggio anche di coniare nuovi concetti, coerenti col vissuto dei nostri popoli e con lo sviluppo storico-sociale e istituzionale delle nostre comunità nazionali.
USE è la traduzione di un concetto di unione utilitaristica, non contiene nessun aspetto di unione volontaristica, di passioni e sentimenti politici che fanno sposare una causa a partire dall’idealità, quella forza che muove veramente i popoli e da forza alle élite per mettere in moto i cambiamenti.
Io credo che gli europei oggi si trovino nella condizione di dover maturare la necessità di cedere sovranità per costruire qualcosa di più grande, rinunciare quindi a un pezzo di ciò che per secoli siamo stati abituati a concepire come “Cosa pubblica”, il patto sociale e civile che ha dato vita alle nostre istituzioni, attraverso un processo dal basso che diede, con le assemblee costituenti, vita alle nostre repubbliche.

Ecco, credo che culturalmente gli europei potranno essere pronti alla svolta federalista solo quando le classi dirigenti europee lanceranno il cuore oltre l’ostacolo avviando e indicando un processo simile, per la costruzione di una “Repubblica Europea”, e non l’unione di diversi Stati per motivi d’interessi.
Un processo partecipativo, costituente, corroborato da uno sforzo educativo, culturale e di mobilitazione a sostegno di ciò, può veramente provare a cambiare le sorti della fiammella del federalismo europeo, per evitare che si spenga definitivamente.
Se riusciremo a farla percepire come una missione comune, il primo passo di una res publica europea, credo lasceremo in eredità basi solide e capaci di dar slancio all’unica cosa di cui questa mondo ha bisogno: il faro del nuovo ordine mondiale che sarà e lo strumento con il quale rendere migliori le vite di tutti gli europei.

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Nato nel 1995, vivo a Trieste, laureato in Cooperazione internazionale. Consulente per le relazioni pubbliche e istituzionali, ho una tessera di partito in tasca da 11 anni. Faccio incontrare le persone e accadere le cose, vorrei lasciare il mondo meglio di come l'ho trovato. Appassionato di democrazia e istituzioni, di viaggi, musica indie e Spagna