In attesa dell’esecuzione degli accordi di tregua tra Israele e Hamas e dell’inizio – previsto per domenica – dello scambio di prigionieri tra le parti, nel mondo arabo ci si interroga sul dopoguerra a Gaza. Si ragiona in particolare su come impedire che i vecchi attori internazionali responsabili del finanziamento ai gruppi islamici (come Qatar e Iran) possano ritornare a essere influenti nell’area. In questa fase si stanno facendo avanti nuovi attori, come i paesi europei e l’Arabia Saudita, considerate valide alternative per evitare che l’enclave palestinese torni un emirato islamico il cui unico obiettivo è quello di attaccare Israele.

Un’ipotesi che circola è quella che il paese leader del mondo arabo – l’Arabia Saudita – possa guidare una forza di pace araba al cui interno partecipino anche paesi europei, tra cui l’Italia. Non a caso il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha affermato che il nostro paese è pronto a inviare dei militari per un’eventuale missione internazionale, che possa garantire la pace in Medio Oriente. L’iniziativa, “che credo debba essere a guida araba”, dovrebbe garantire che “il cessate il fuoco si trasformi in vera pace”. Anche il ministro della Difesa, Guido Crosetto – interpellato in merito – ha affermato: “Noi siamo disponibili sia con i carabinieri sia con le nostre forze armate” perché “abbiamo sempre lavorato per la pace, per stabilizzare i territori dove c’era la guerra”.

Al momento sia Roma che Riad sono impegnate in prima fila nell’invio di aiuti umanitari ai palestinesi. Dal porto di Monfalcone è partita una nave diretta a Gaza con a bordo oltre 50 tonnellate di beni di prima necessità raccolti dalla Confederazione Nazionale delle Misericordie d’Italia. L’Arabia Saudita fornisce invece un sostegno finanziario mensile alla Striscia di Gaza, nel quadro dell’impegno della leadership saudita nel fornire ogni forma di assistenza al popolo palestinese: il totale degli aiuti umanitari, di soccorso e di sviluppo forniti al popolo palestinese ha superato i 5,3 miliardi di dollari.

In vista degli accordi tra Israele e Hamas sulla tregua a Gaza, “il ruolo dell’Arabia Saudita sarà importante. Gli europei dovrebbero puntare a formare una chiara partnership strategica con Riad da schierare verso i governi degli Stati Uniti e di Israele”. É questa la richiesta di Hugh Lovatt, senior policy fellow per il Medio Oriente Nord Africa del Consiglio europeo per le relazioni estere (ECFR). Contattato dal Riformista, l’analista spiega che «al centro di tutto questo dovrebbe esserci il piano “Arab Vision” diffuso nel 2024 dai principali paesi arabi, che offre a Israele la piena integrazione regionale qualora accettasse il ritorno di un’Autorità palestinese riformata a Gaza e l’attuazione di una soluzione a due Stati. Mentre il piano “Arab Vision” è stato ampiamente ignorato dall’amministrazione Biden, deve essere rivitalizzato con l’assunzione dell’incarico da parte del team Trump».

Secondo l’analista, «come dimostrato attraverso questo accordo, la nuova amministrazione Trump è l’unico attore con sufficiente influenza per spingere Israele a fare i compromessi necessari. Lavorando insieme, gli Stati europei e arabi dovrebbero convincere Trump che porre fine al conflitto israelo-palestinese, in un modo che consenta la piena autodeterminazione e indipendenza palestinese, rimane l’unica via per la normalizzazione saudita con Israele». Non è un caso che due giorni fa il quotidiano israeliano Jerusalem Post abbia pubblicato un editoriale, scritto da Brian Bloom, intitolato “L’Arabia Saudita è l’unica ancora di salvezza di Israele dopo la guerra”. Lo scrittore solleva la questione sul cambiamento della realtà se non si ottiene la vittoria o se l’opinione pubblica perde fiducia: a suo giudizio il tema richiede di pensare fuori dagli schemi; sottolinea che fortunatamente l’argomento è ora sul tavolo e che – se avrà il coraggio di affrontarlo – il governo israeliano troverà la risposta a Oriente, in Arabia Saudita.