«Lavoreremo a un piano di ricostruzione e a un processo di recupero per Gaza insieme a partner internazionali, inclusi i Paesi del Golfo». Sono le parole della Commissaria Ue per il Mediterraneo, Dubravka Šuica, a commento della tregua Israele-Hamas. Mentre le trattative sono entrate nella fase più delicata, viene da chiedersi se quelle di Bruxelles non siano frasi di circostanza o premature. Ne parliamo con Arturo Varvelli, direttore dell’European Council on Foreign Relations – Roma.

 La Ue è arrivata troppo presto? O anche troppo tardi, visto che il conflitto ha superato i 15 mesi di durata?
«In generale, la tregua richiederà certamente l’intervento di una missione internazionale per visionare il rispetto. Nel dettaglio, Šuica ha un ruolo del tutto nuovo e – come tale – cerca di richiamare tutta l’Europa ai propri compiti. L’Europa deve cogliere l’occasione di questa tregua per tornare a essere una voce protagonista negli equilibri in Medio Oriente».

Ma come si concilia questo spiraglio di azione con le divisioni interne alla Ue?
«Lo sappiamo: in questi mesi Irlanda e Spagna hanno preso posizione a sostegno dei palestinesi. Mentre Austria, Germania e Ungheria sono a fianco di Israele. Tuttavia sono fiducioso che queste divisioni possano essere superate nell’ottica di un impegno comune di definire un percorso di “nation building”. La riconciliazione palestinese è una condizione irrinunciabile nel processo di pace. L’Europa può essere promotrice di nuovi format, per esempio comitati amministrativi indipendenti per supervisionare la ricostruzione e gestire la governance di Gaza. Deve fare pressione sull’Anp affinché ripristini una funzione democratica in Cisgiordania. Infine è necessario parlare con i paesi arabi, Riad prima tra tutti, affinché Hamas smobiliti i suoi combattenti e sospenda gli attacchi su Israele».

Questo vuol dire una Kaja Kallas più attenta al Mediterraneo.
«Le doti della numero uno della diplomazia Ue sono sotto gli occhi di tutti. D’altra parte, Mediterraneo e Medio Oriente sono due quadranti che richiedono una dettagliata conoscenza del territorio e delle sue dinamiche. Non vorrei che a Bruxelles si fosse peccato di miopia nell’assegnare un incarico così essenziale com’è la proiezione esterna europea a una personalità estone, la cui visione rischia di essere focalizzata sul versante Russia. Certo, Putin è una minaccia. Ma la politica estera europea è fatta anche di Medio Oriente appunto, Africa, India, Mercosur… Kallas rischia di dimostrare una competenza tanto specifica da essere costretta a delegare questi e altri dossier».

Quindi Bruxelles come può esercitare una pressione nella regione?
«La questione israelo-palestinese è mediterranea. Spetta ai paesi del Sud Europa occuparsene. Tajani ha già detto che l’Italia c’è. E il Piano Mattei lo conferma. C’è poi la Francia, per tradizione e interesse».

E poi c’è Luigi Di Maio, fresco di conferma nel suo incarico come inviato Ue nel Golfo.
«Esatto. Di Maio, vuoi per l’esperienza di due anni, vuoi perché è italiano, si trova in un punto critico dal quale poter triangolare con Bruxelles».

Chi dev’essere il primo interlocutore della Ue?
«Sicuramente i sauditi. Il loro piano “Arab vision”, ignorato per errore da Biden, offriva a Israele la piena integrazione nel contesto mediorientale, in cambio che Israele consentisse all’Anp di ricostituirsi e tornare a Gaza».

In pratica è la vecchia soluzione “due popoli – due Stati”.
«Per la prima volta c’è una sorta di piano su cui Italia e altri suoi partner del Mediterraneo devono spingere. Riad si fa garante di quello che succederà a Gaza. Come sta succedendo in Siria, la durezza contro qualsiasi vampata di radicalizzazione islamica è una minaccia anche per loro. Da questo punto di vista, credo che l’Europa debba implementare questo percorso. Il tutto con l’incognita Trump, ovviamente».

Ecco, la nuova amministrazione che carte ha perché si torni a parlare di pace?
«Trump ha più influenza di Biden su Israele. Questo è chiaro. Può sfruttare questo vantaggio affinché pure Netanyahu accetti i compromessi necessari. Riprendere gli Accordi di Abramo potrebbe essere un’opzione».

Un ultimo punto: la Polonia ha detto che accoglierà Netanyahu per la Giornata della memoria. Nonostante le accuse di crimini di guerra a lui rivolte dal Tribunale penale internazionale…
«Ancora una volta vediamo quanto sia inopportuno sostituire la giustizia alla politica. La Ue deve invece supportare il premier israeliano in questa fase. C’è sempre qualcuno più a destra. Alla fine credo sarà importante anche in questa de-escalation».