Se Emmanuel Macron si prepara a render scomoda per il giovane Bardella la “cohabitation” con lui, qui da noi lo abbiamo anticipato di trent’anni. Oscar Luigi Scalfaro, rivela il cardinale Ruini al Corriere della Sera, nel 1994 la coabitazione con Silvio Berlusconi non la digeriva proprio. E quindi invitò a pranzo lui e altri due potenti cardinali per aiutarlo a farlo cadere. Il Vaticano non considerava Berlusconi un rischio per la democrazia, quindi non se ne fece nulla. Semmai considerava rischioso il metodo-Mani pulite: “Ero sconcertato – dice Ruini – nel vedere amici cari morire sotto il peso di accuse mai dimostrate. Assistere a metodi che sembravano intimidatori verso le persone e persino verso le istituzioni. Constatare gli sconfinamenti di potere e quel meccanismo unilaterale in base al quale c’era chi veniva salvato e chi no”.

Perciò il cardinale cercò di spingere a reagire i referenti del partito cattolico in fase di mutamento genetico. Ma ne ricavò solo dei passi di lato che somigliavano tanto a una fuga. Ruini cita Mino Martinazzoli, Rosy Bindi e Rosa Russo Iervolino, che affossarono la Democrazia Cristiana e la sua tradizionale collocazione politica per andare a contare poco o nulla nella terra di mezzo del partito popolare. E cita anche Franco Marini: “Lo esortai: faccia un discorso forte sulla giustizia, come quello che ha fatto Bettino Craxi in Parlamento. Mi rispose: ci ho pensato, ma non me la sento”. Il passato non è solo materia da storici. Racconta molto di un paese che in tre decenni ha smarrito la bussola dell’equilibrio dei poteri e del primato democratico della politica. Il colloquio di Francesco Verderami con Ruini prosegue la ricostruzione avviata con l’intervista a Giovanni Pellegrino.

In quel caso, sullo scenario della guerra combattuta da procure e giornali si stagliava il cinismo del comandante D’Alema, che così rassicurava il molto perplesso avvocato leccese: “Le rivoluzioni si sono sempre fatte con le ghigliottine e i plotoni d’esecuzione. Cosa vuoi che sia qualche avviso di garanzia o qualche mandato di cattura di troppo?”. Poi, l’affondo: “Luciano mi ha detto che possiamo stare tranquilli, perché Mani pulite non se la prenderà con noi”. In soldoni: gli avvisi di garanzia se li beccassero gli altri, noi come garanzia abbiamo Violante in persona.
Dalle parole di Camillo Ruini il quadro si arricchisce di nuovi protagonisti delle convenienze e delle connivenze, che nelle rivoluzioni non mancano mai. Le avevano i giacobini, perché non dovrebbero averle avute Borrelli e i suoi? Infatti, più che il ben noto manovrismo di Scalfaro, nelle rivelazioni di Ruini spiccano i silenzi dei big democristiani dell’epoca, che cercavano di trovare salvezza su più sicure sponde.

L’importante era abbandonare la nave, bombardata dal clamore di piazza a sua volta animato dalle inchieste. “Ci ho pensato ma non me la sento”, diceva Franco Marini. Parliamo di una personalità di alto livello del sindacalismo cattolico, che poi diventerà leader di partito e presidente del Senato, a un passo dal Quirinale. Ma non se la sentì. Certamente, nel clima di quegli anni non era facile. Pellegrino, non a caso, racconta che per i suoi dubbi su usi e soprusi di Mani pulite venne isolato anche dai colleghi del suo stesso partito. Non era facile, ma parlare si poteva. Si doveva. Così come si deve oggi, mentre la politica viene accusata del reato di voler riformare la giustizia e un governatore regionale viene sequestrato per il rischio che reiteri il reato di fare politica.

Sergio Talamo

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