Giovanni Bombardieri è il nuovo procuratore di Torino. Lo ha deciso ieri, assente il togato indipendente Andrea Mirenda, la Commissione per gli incarichi direttivi del Csm.
Bombardieri, attuale procuratore di Reggio Calabria, arriva a Torino in un momento quanto mai effervescente dal punto di vista investigativo per la Procura.
I pm piemontesi, infatti, hanno attualmente nel mirino sia i fratelli Elkann, accusati di truffa riguardo l’eredità della nonna Marella Caracciolo, e sia alcuni esponenti di punta del Pd locale, accusati invece di avere avuto rapporti con le cosche ‘ndranghetiste in cambio di voti alle elezioni amministrative.

Il periodo di Bombardieri a Reggio Calabria era stato alquanto tumultuoso, essendosi dovuto confrontare a suon di ricorsi con il sostituto procuratore generale della Cassazione Raffaele Seccia.
I giudici amministrativi avevano costretto ad un super lavoro il Csm in quanto la nomina di Bombardieri veniva costantemente bocciata.
Pur non avendo mai svolto funzioni direttive, il Csm lo aveva però sempre preferito a Seccia, ex procuratore di Lucera e Fermo ed anche più anziano di servizio, proprio per la conoscenza della criminalità organizzata di tipo mafioso di gran lunga superiore.

Secondo il Consiglio di Stato, invece, il solo fatto della “maggiore conoscenza del fenomeno criminale ‘ndranghetista” non poteva essere considerato un elemento di prevalenza. A complicare le cose erano state anche le chat con l’ex presidente dell’Anm Luca Palamara dalle quali sarebbe emerso una sorta di accordo fra i due: revoca della domanda da parte di Bombardieri per aggiunto a Roma in cambio di quella di procuratore a Reggio Calabria una volta che Federico Cafiero De Raho fosse andato alla Direzione distrettuale antimafia.

Bombardieri lascia comunque Reggio Calabria con un successo non da poco: la condanna all’ergastolo anche in secondo grado dell’ex boss del quartiere palermitano di Brancaccio Giuseppe Graviano e di Rocco Santo Filippone, espressione della cosca Piromalli di Gioia Tauro. I due erano accusati dell’omicidio dei carabinieri Antonino Fava e Vincenzo Garofalo, avvenuto il 18 gennaio 1994.
«Il comune progetto criminale», come venne definito dai giudici, portato avanti da corleonesi e ‘ndranghetisti, aveva trovato fondamento nelle dichiarazioni di vari collaboratori di giustizia. «Ndrangheta e Cosa nostra avevano una necessità impellente: indurre lo Stato a trattare», si legge nella sentenza. Ma non solo: questo univoco progetto stragista aveva ricevuto il sostegno di «contesti massonici e pidduisti» e di «soggetti appartenenti ai servizi segreti deviati». Di fatto una sorta di fotocopia dell’indagine «Sistemi criminali» della Procura di Palermo che era però naufragata miseramente.

Fra i vari pentiti a cui la procura diede credito, c’è Girolamo Bruzzese, il quale aveva raccontato un episodio, avvenuto nel 1978-1979, poco dopo l’omicidio di Aldo Moro, a cui avrebbe «assistito personalmente». Bruzzese descrisse un super summit nel luogo, vicino alla piana di Gioia Tauro, dove suo padre trascorreva all’epoca la latitanza. Alla riunione avrebbero partecipato, oltre i vertici della ‘ndrangheta reggina, addirittura Bettino Craxi e Silvio Berlusconi, che egli aveva riconosciuto «per averli già visti in televisione». «Li vidi parlare in un agrumeto», aveva detto Bruzzese.

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Giornalista professionista, romano, scrive di giustizia e carcere