Dopo Pontida la comunicazione di Matteo Salvini va a risciacquarsi i panni nel Potomac. Addio, quindi, alle acque sacre del Po per immergersi in quelle più fredde del fiume che taglia in due Washington D.C. Così, all’indomani della manifestazione che da anni celebra l’orgoglio leghista ecco che gli account social di Salvini pubblicano una card grafica dove sotto le foto dei leader della destra europea troneggia lo slogan di matrice trumpiana Make Europe Great Again.

Copiare non aiuta mai

Adesso, voglio anche ammettere che non è mai semplice comprendere appieno le scelte di comunicazione dei leader politici, in particolare di questi tempi in cui la volatilità dell’opinione pubblica impone loro repentini cambi del posizionamento, talmente veloci che in taluni casi rischiano di bruciare anni di lavoro, di reputazione e di credibilità. Eppure, occupandomi da circa due decenni di comunicazione politica, se c’è una lezione basica che ho assimilato, nonostante i miei limiti oggettivi che qui non nego, è che al politico non giova mai copiare e riadattare posizionamenti e slogan di altri leader. In particolare poi, se ripresi da contesti geografici, sociali e politici totalmente diversi e distanti. La resa non sarà mai uguale, i vantaggi di visibilità e di raccolta dell’attenzione non potranno essere mai identici, anzi, in questi casi sono talmente più i rischi dei possibili benefici che se ne possono trarre.

Come insegna George Lakoff…

Il MEGA, ossia Make Europe Great Again, lanciato da Salvini fa spudoratamente il verso senza conservarne l’attrattività, nonostante la scelta di utilizzare lo stesso carattere tipografico, al MAGA, Make America Great Again, cioè al posizionamento adottato da Donald J. Trump nella campagna elettorale del 2016, riproposto quattro anni dopo nel 2020 con la variante Keep America Great e, infine, rispolverato nuovamente dal candidato repubblicano per le presidenziali di quest’anno. Tra i possibili rischi ce ne sono due, almeno questi sono i più evidenti, che forse lo staff di Salvini ha sottovalutato. Il primo, se qualcuno avesse letto George Lakoff avrebbe potuto benissimo evitarlo, è il rimbalzo percettivo immediato che si materializza nella testa del lettore. Infatti, un nano secondo dopo aver visto il post, il frame che si accende nella testa del lettore è quello più forte e radicato: il nostro cervello che funziona come interruttore spegne Salvini e soci e accende la luce solo su Trump.

Altro che comunicazione identitaria

Il secondo, invece, è un rischio percettivo connesso alle caratteristiche intrinseche di un posizionamento già strutturato e intimamente legato ai destini del suo interprete e protagonista: in questi casi gli effetti di una sconfitta elettorale di Trump o di un qualsiasi altro contrattempo dovesse capitargli, si rifletterebbero direttamente anche su Salvini. Insomma, replicare o duplicare all’infinito un messaggio non è mai una scelta conveniente per un leader politico, perché la sua identità viene risucchiata nel vortice pirandelliano dell’uno, nessuno e centomila. Lo stesso vortice dal quale Matteo Salvini è faticosamente risalito dopo gli anni delle felpe con la scritta delle città che ospitavano i suoi comizi e incontri. Una comunicazione che voleva essere identitaria ma che alla lunga è risultata completamente anonima.

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Domenico Giordano è spin doctor per Arcadia, agenzia di comunicazione di cui è anche amministratore. Collabora con diverse testate giornalistiche sempre sui temi della comunicazione politica e delle analisi degli insight dei social e della rete. È socio dell’Associazione Italiana di Comunicazione Politica. Quest'anno ha pubblicato "La Regina della Rete, le origini del successo digitale di Giorgia Meloni (Graus Edizioni 2023).