Ora la camorra fa paura, paura davvero. Si accendono abbaglianti, non fari, sul Parco Verde di Caivano e si spegne la speranza di uno Stato che agisce tempestivamente e con continuità sul territorio: don Maurizio Patriciello finisce sotto scorta. Finisce sotto scorta il simbolo della lotta alla criminalità organizzata. Lo ha deciso il ministero dell’Interno dopo la bomba esplosa all’esterno della chiesa del parroco. Un’intimidazione gravissima. Solo qualche settimane fa anche al comandante della Polizia Municipale di Arzano, Biagio Chiariello, era stata assegnata la scorta. Provvedimento valutato necessario dopo le minacce di morte ricevute. Era comparso all’ingresso del Comando un manifesto funebre con il volto del Comandante e il giorno della morte. Entrambi minacciati perché stavano solo facendo il loro lavoro. Viene da chiedersi: oltre alle passerelle, cosa abbiano fatto ministri e procuratori più volte avvistati in quel quartiere.

Proprio ieri il ministro dell’interno Luciana Lamorgese è arrivato a Napoli per incontrare il parroco di Caivano e definire strategie, si spera questa volta concrete, per un territorio martoriato dalla camorra. Don Patriciello ha chiesto fino all’ultimo di poterne fare a meno, ma è stato valutato necessario appunto assegnargli la scorta e lui ha accettato “in spirito di obbedienza”. «Spero che questa decisione possa portare beneficio anche a questo territorio martoriato. Ringrazio chi ha preso questa decisione – ha aggiunto don Maurizio – che però mi rattrista: significa che ormai era diventata necessaria». Il sacerdote ha ribadito di essere “triste” per l’assegnazione di una scorta perché «non so se potrò continuare normalmente il mio apostolato: è una situazione nuova e strana” ha affermato. Quanto alle richieste rivolte a Governo e Regione Campania, don Patriciello ha ribadito che «si tratta di richieste minime, sempre le stesse: installazione delle telecamere di videosorveglianza (“gli spacciatori hanno quelle di ultima generazione, quelle che si vogliono installare qui sono già superate”), assunzione di vigili urbani. Ragiono con gradualità, faccio richieste minime » ha concluso il parroco del Parco Verde. Presenti all’incontro anche il prefetto di Napoli Claudio Palomba e il presidente della Regione Vincenzo De Luca. Accanto a don Maurizio c’era Luigi Leonardi, imprenditore che vive sotto scorta da sei anni per aver denunciato i clan che a lungo l’hanno soffocato, costringendolo a pagare il pizzo. Fino a sequestrarlo per un giorno intero. Da tempo è al fianco di don Maurizio per cercare di salvare un territorio che vive sotto la maledizione della camorra. Ed è lui a raccontare al Riformista la paura, la delusione e la solitudine di un uomo che in nome della legalità finisce sotto scorta.

Luigi, anche don Patriciello sotto scorta, che segnale è?
«Il segnale che l’attenzione dello Stato c’è solo quando succede qualcosa. Arriva sempre dopo. Ora è successa una cosa di una gravità estrema. Fa paura la spregiudicatezza con la quale si compiono questi atti folli. È una delinquenza quella di Frattamaggiore e di Arzano che tende a occupare uno spazio sul territorio che non è il loro. E lo occupano con estorsioni, spaccio, stese».

Cosa ti ha detto don Maurizio?
«Proprio questo, e cioè che ciclicamente c’è un focus sulla criminalità organizzata in queste zone, ma poi i riflettori si spengono e nulla cambia. La camorra c’è sempre, la reazione dello Stato invece è vincolata al gesto estremo. Lui non è contento di avere la scorta perché ha il timore che ora non potrà essere libero di esercitare la sua funzione. Ma la accetta. Don Maurizio chiaramente ha paura».

Cosa simboleggia la scorta a don Maurizio?
«La sconfitta dello Stato. Uno Stato che mette sotto scorta una persona è l’emblema del fallimento. Il messaggio è: non riesco a farti essere libero nel tuo territorio e sono costretto a privarti della libertà per non farti correre pericoli, in questo caso per non farti ammazzare. In questo caso lo Stato dimostra di essere più debole della camorra. Una persona dovrebbe essere libera di fare il suo lavoro perché lo Stato è forte ed è presente e non ricorre alla scorta. E poi c’è l’anti Stato che è sempre presente e sempre più forte e agisce indisturbato. Noi stiamo ancora a parlare delle telecamere che non ci sono».

Lo ha detto anche il procuratore della Repubblica Giovanni Melillo che lo Stato lì è assente…
«Assolutamente sì. Lo ha detto quando è venuto in chiesa da don Patriciello. A Frattamaggiore venne anche il presidente della commissione antimafia Nicola Morra e disse: lo Stato non c’è. Vorrei dire lo Stato sei tu, siete voi. Come fate a dire lo Stato non c’è?».

Torniamo alla paura, tu vivi sotto scorta da sei anni. Cosa si prova?
«Io ho ancora paura. Per don Maurizio e per me. La paura nasce dal fatto che questa gente si muove indisturbata e dalla consapevolezza di essere soli, abbandonati dallo Stato. Questa non è vita. Vivere con la scorta vuol dire sopravvivere. Oggi si parlava di legalità nell’incontro con il ministro Lamorgese, ma noi vogliamo parlare di normalità. Biagio Chiariello è finito sotto scorta perché faceva il suo lavoro, quindi se la normalità è che una persona faccia il proprio dovere c’è qualcosa che non va. E viene anche da chiedersi: quelli che c’erano prima di lui, che cosa facevano?».

Luigi, nella tua vicenda c’è una cosa strana: tu a un certo punto passi da testimone di giustizia a collaboratore di giustizia. Perché?
«Nel 2016 inizia il processo dopo le mie denunce di estorsione. Uno si era appena concluso con l’arresto di 81 persone. Ma veniamo al secondo. Vengo inserito nel programma di protezione come testimone di giustizia e vengono condannate tre delle dieci persone che avevo denunciato, senza l’aggravante del metodo mafioso. Così io risulto poco attendibile. Poi salta fuori che un cugino di secondo grado di mio padre era un “delinquente” e il ministero degli Interni mi informa che “molto verosimilmente anche io potrei essere un delinquente”. In attesa di chiarimenti quindi sono stato etichettato come collaboratore di giustizia. Io sono incensurato, non sono mai stato indagato, non ho ancora visto una prova che possa dimostrare che io sia un delinquente e dopo sei anni ancora attendo risposte. Ho scritto due giorni fa anche a Melillo per questa faccenda».

È a fronte di questa giustizia che molti non denunciano?
«Sì. Io sono in un limbo e spesso mi chiedono chi me l’ha fatto fare di denunciare. La magistratura è completamente scollata dalla realtà e non fa le indagini come si deve. Per fortuna ho la possibilità di pagare le spese processuali».

Il sistema giustizia fa acqua da tutte le parti, la politica?
«La politica non ha deciso di fare la guerra alla criminalità organizzata che si inserisce nei contesti difficili dove le istituzioni sono assenti. Sono venuti tutti qui, ultimamente anche Giuseppe Conte, ma la realtà è sempre la stessa: la sera, nel buio pesto, ci siamo solo io e don Maurizio a chiudere il cancello della chiesa. Siamo soli».

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Giornalista napoletana, classe 1992. Vive tra Napoli e Roma, si occupa di politica e giustizia con lo sguardo di chi crede che il garantismo sia il principio principe.