Le tragiche immagini di questi mesi, i lutti, i disastri economici e la ripartenza tutt’altro che facile, hanno rotto molti schemi ideologici del passato. Su tanti temi abbiamo aperto gli occhi e la realtà si è fatta breccia con tutta la sua evidenza. Ma a leggere alcune interviste e prese di posizione mi sembra che ci sia un tema sul quale, nonostante queste evidenze, permanga ancora una chiusura inossidabile: il tema della scuola e in particolare quello della libertà educativa. Quando si parla di scuola c’è chi sottolinea “pubblica”, per contrapporla alla “privata”, pensando ai corsi privati a pagamento. Dal 2000 però, con la legge 62 voluta dall’allora ministro dell’istruzione Luigi Berlinguer – un vero riformista – si è definito che il sistema di istruzione nazionale si compone di scuole statali e scuole non statali (paritarie), le quali quindi fanno parte a pieno titolo del sistema di istruzione pubblica e, per essere riconosciute come tali, devono sottostare a controlli e normative nazionali e regionali.

Nelle oltre 12.000 scuole paritarie attualmente attive si fa scuola a tutti gli effetti, e quest’ultimo periodo di didattica a distanza ne è la conferma. Solo chi non è mai entrato in una scuola paritaria può continuare a sostenere che queste debbano essere ignorate da parte delle istituzioni. Chi grida allo scandalo affermando che aiutando gli istituti paritari si generano degli incostituzionali “oneri per lo Stato”, sbaglia profondamente. È vero, lo Stato riconosce alle paritarie un contributo medio di 500 euro l’anno a studente, ma vorrei sommessamente ricordare che per uno iscritto ad una scuola statale, gli stessi costi da parte dello Stato, arrivano a 6.500 euro l’anno. Non voglio qua dire se è poco o tanto, voglio solo stare sull’oggettività dei numeri. Se domani chiudessero tutte le scuole paritarie, un milione di studenti busserebbero alle scuole statali, e lo Stato dovrebbe farsi carico di quei 6.500 euro anche per loro. A voi i calcoli di quanti miliardi in più ogni anno costerebbe allo Stato una situazione del genere, senza parlare delle 180 mila persone che in quelle strutture ci lavorano, regolarmente contrattualizzate e pagate. A meno che per qualcuno i lavoratori abbiano valori diversi.

Sulla presunta incostituzionalità poi, forse basterebbe ricordare che in 70 anni di Costituzione e decenni di contributi la Corte non è mai intervenuta. Ma voglio aggiungere anche che la Costituzione va letta tutta. Dopo il terzo comma dell’articolo 33 che dice «enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato» c’è il quarto comma, nel quale si legge: «La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali». Si tratta quindi di una “facoltà”, non di un “diritto”. Non basta alzarsi e dire “faccio una scuola” perché lo Stato ti garantisca le risorse e il riconoscimento del titolo di studio finale. Solo se segui un percorso di “parità scolastica”, accettando regole e controlli ben precisi, allora lo Stato ti riconosce come un valore e ti dà quei contributi.

Sarebbe giusto recuperare anche lo spirito che animava i costituenti. L’emendamento che aggiunse quel “senza oneri per lo Stato”, fu proposto dal liberale Epicarmo Corbino, il quale ricordò che non si intendeva che lo Stato non sarebbe mai potuto intervenire in aiuto degli istituti privati, ma che nessun istituto privato sarebbe potuto nascere con il diritto di avere aiuti da parte dello Stato. Appunto non un “diritto” ma una “facoltà”. Che qualcuno continui ad affermare che sia uno scandalo il fatto che il governo, in questo momento difficile, abbia investito 1,5 miliardi per la scuola statale e 150 milioni per asili, nido e scuole primarie e secondarie non statali, la dice lunga sui pregiudizi ideologici che ancora circolano sul tema.

L’educazione di un figlio è dovere e diritto dei genitori (art. 30 della Carta), non dello Stato. L’ente pubblico deve garantire l’erogazione di un servizio. Lo deve garantire a tutti, di qualità, con strutture adeguate e un percorso educativo che non lasci indietro nessuno. Ma che il gestore sia statale o paritario non può fare la differenza, e soprattutto non può essere – ideologicamente – descritto come “scandalo”. Entrambi i percorsi devono essere di qualità perché entrambi si occupano del nostro bene più prezioso: l’educazione, cioè la crescita dei nostri figli.