La consapevolezza che ben poco sia stato fatto per prevenire e arginare una prevedibile seconda ondata del virus appare oramai diffusa. I segnali e i campanelli d’allarme quotidiani assomigliano sempre più a impietosi capi d’accusa alla colpevole inerzia. Si sforna, alla disperata, un Dpcm dopo l’altro, senza nemmeno verificare la bontà delle prime misure imposte. Ribolle nelle piazze di tutto il Paese la protesta, a tratti violenta. Il governo corre ai ripari con il D.L. 137 del 28.10.2020. Dopo il “Cura Italia” e il Decreto “Rilancio”, ecco il D.L. “Ristori”. Non pecca certo di fantasia. Il Ministro della Giustizia, stavolta, ha deciso di intervenire sul carcere, senza attendere appelli, agitazioni, dentro e fuori i penitenziari.

I numeri dei contagi che provengono da alcuni istituti di pena, decisamente allarmanti se li rapportiamo al numero complessivo della popolazione detenuta, ci riportano ad una amara realtà. Poco o nulla si è fatto per ridurre il carico umanitario delle carceri e quel poco non è stato certo determinato dalle misure adottate dall’esecutivo. Con il D.L. “Cura Italia”, in effetti, al mese di giugno erano stati ammessi alla detenzione domiciliare poco più di 1000 detenuti, oramai prossimi all’uscita per espiazione completa.

Al netto delle comparsate televisive di Giletti & Co., il governo Conte ha affidato alla buona sorte i detenuti e il personale penitenziario. Sinora è andata bene. Ma oggi, con più di 54.000 detenuti presenti, abbiamo annullato il bonus deflattivo di aprile-maggio scorso, riavvicinandoci ai numeri drammatici di marzo. Eppure il Ministro Bonafede ci ripropone le stesse misure, praticamente inutili, del “Cura Italia”. Nessuna attenzione per i detenuti (un numero rilevantissimo) in attesa di giudizio. Per i condannati in via definitiva, invece, ne riduce ulteriormente l’ambito di operatività, di per sé asfittico, piegandosi alle “grida” della “Arena” televisiva. Si prevede, infatti, espressamente il divieto di accesso al beneficio “salva-Covid” per i condannati per mafia o terrorismo, quand’anche abbiano finito di espiare la parte di pena c.d. ostativa e si trovino in carcere ancora per un reato c.d. “comune”, seppure connesso.

Già in sede di discussione al CSM sul parere al “Cura Italia”, il dott. Nino Di Matteo aveva denunciato l’allora mancata previsione del divieto di scioglimento del cumulo tra reato ostativo e non. Dinanzi a certi richiami – lo abbiamo visto con il D.L. ad personam “anti-Zagaria” – il Ministro, si sa, ha il cuore debole. Poco importa se la Corte Costituzionale (1994) abbia affermato come la presunzione di pericolosità insita nell’espiazione del reato ostativo finisca proprio qualora si esaurisca l’espiazione di quel segmento di pena o che la Corte di Cassazione (2014) abbia rimarcato come anche una misura tesa alla riduzione del sovraffollamento, come fu la liberazione speciale anticipata, sia strettamente collegata alla finalità rieducativa scolpita nell’art. 27 della Costituzione.

Nel periodo marzo-aprile scorso abbiamo verificato, purtroppo, come l’invisibile virus non abbia fatto distinzioni, nella sua fatale morsa, tra detenuti in attesa di giudizio e detenuti in espiazione pena, men che meno tra reati “comuni” e reati ostativi. Confidiamo, adesso, che, nella avvenuta mutazione da più parti segnalata, il “Covid-19” abbia conseguito almeno un Master sull’esecuzione penale, districandosi, così, tra le insensate distinzioni contenute nel DL “Ristori”.

Per l’informazione di regime, lo slogan è sempre lo stesso “5.000 detenuti a casa con i braccialetti elettronici”. Quale sia la base di riferimento di questi numeri, però, nessuno lo sa. Nemmeno al Ministero. Al punto da dover attendere, ancora una volta, la pubblicazione, tra dieci giorni, di un provvedimento congiunto del capo del Dap e del capo della Polizia di Stato che dica, finalmente, il numero esatto dei braccialetti disponibili. Signori, si replica! E che Iddio ce la mandi buona, infondendo forza, vigore e coraggio ai magistrati di sorveglianza chiamati ad affrontare la seconda ondata nelle carceri.