Una giornata al cardiopalma. In Sardegna e a palazzo Chigi. L’ombra lunga di un lunedì nero ha congelato la premier fino alle otto di sera quando lo spoglio di 1298 sezioni su un totale di 1844 sembra aver consegnato la Sardegna al “campo largo” di Schlein e Conte e, più di tutti, alla prima donna governatrice nella storia dell’isola, Alessandra Todde. Alle 20.30, quando questo giornale va in stampa, lo scarto è di pochi decimali (45,5% Todde; 45,2 % Truzzu) ma la tendenza soffia in favore della candidata grillina.

I dati definitivi arriveranno solo nella notte, più probabile all’alba, accompagnati da fiumi di polemiche su uno spoglio lento, pieno di colpi di scena, con il sospetto del “boicottaggio” dei comuni che non caricavano nei tempi dovuti i risultati sul sito ufficiale della Regione. Quello sardo è un voto pieno di significati e conseguenze. Nonostante i proclami di sarditudine – che non sono serviti per spingere l’affluenza ancora più bassa del 2019 (52,4% contro il 53,9 di cinque anni fa) – è stato il primo di una lunga lista di appuntamenti elettorali che avranno lo zenit a giugno con le europee. Se anche Truzzu dovesse aggiudicarsi per qualche decimale il governo dell’isola, il destra-centro “perde” sconfitto da un quasi pareggio.

E più di tutti perde Giorgia Meloni. Lo spoglio, per quanto lento, ha però dimostrato subito un dato: la candidatura di Truzzu è stata sbagliata. Nella città di cui è sindaco da cinque anni il candidato governatore non ha sfondato e Alessandra Todde ha invece sbancato. Andamento analogo a Sassari e a Nuoro. Eppure Meloni nel comizio finale la scorsa settimana a Cagliari ha rivendicato la scelta “e non perché andavamo insieme in discoteca (in realtà il legame è il cerchio magico di Atreju, ndr) ma perché Truzzu fa politica da vent’anni”. Criterio che mal si concilia con il fatto che i manifesti in Sardegna avevano il sorriso della premier e non quello del sindaco- candidato. Meloni ha personalizzato e non ha vinto. Fratelli d’Italia è il secondo partito (61 mila voti, circa il 14 per cento), meno della metà dei voti del Pd. “Sarebbe andato molto meglio un nostro candidato” dicevano nel pomeriggio da Forza Italia pensando ad Alessandra Zedda. Gli azzurri hanno fatto una buona performance nell’isola (intorno all’8%) in pratica doppiando la Lega ferma al 4%. Se Meloni ha sbagliato il candidato – ancora una volta verrebbe da dire – il flop di Salvini ha quasi del clamoroso: eppure il leader della Lega si è fermato nell’isola fino a venerdì nella speranza di guidare il voto.

I maligni dicono anche per suggerire un voto disgiunto – circostanza seccamente smentita dallo stesso Salvini – perché tutto sommato la sconfitta di Truzzu avrebbe rappresentato il primo vero flop della premier dopo due anni di luna di miele. E un suo ridimensionamento, visto con gli occhi della Lega e tutto sommato anche di Forza Italia, può essere utile per riequilibrare certi “eccessi” e “prepotenze” da parte della premier. All’ora di pranzo e prima di un Consiglio dei ministri fiume (terminato alle 19.20) su dossier importanti come il Pnrr quater (i soldi alla fine li ha messi soprattutto Fitto) e le nuove norme per la sicurezza sul lavoro, la premier ha pranzato con Salvini e Tajani. I dati a quell’ora davano ancora avanti Truzzu, la doccia fredda sarebbe arrivata intorno alle 17 via via che entravano nel sistema regionale i dati dei comuni che però venivano anticipati sui social creando un caos poco edificante. “Clima cordiale e sereno, normali pranzo di lavoro” hanno riferito fonti del governo.

Lecito avere qualche dubbio sulla serenità intorno al tavolo. Anche perché il lunedì nero di Meloni ha dovuto fare i conti anche con Parigi dove Macron ha convocato un vertice sull’Ucraina a cui hanno partecipato una ventina di leader occidentali e non solo europei per dare un messaggio forte e chiaro alla Russia di Putin: l’Europa non si arrenderà mai nei confronti dell’Ucraina e non consentirà la vittoria del regime di Vladimir Putin. Iniziativa esemplare, senza dubbio. Se non fosse che appena 48 ore prima, sabato pomeriggio, la premier italiana era a Kiev nei due anni dall’inizio della guerra, per la prima riunione del G7 a guida italiana e per dare lo stesso messaggio. Macron non si è neppure collegato, preso dal fronte interno e dalle trattative con gli agricoltori. E così ieri Meloni a Parigi ha mandato il sottosegretario Cirielli.

Un doppio sgarbo diplomatico che assomiglia molto ad una rottura pesante lungo l’asse Roma-Parigi. E che non è un buon viatico per la presidenza italiana del G7. La vittoria sul filo di lana di Alessandra Todde è certamente un’ottima notizia per il “campo largo”. Un po’ meno per il centrosinistra. L’ex sottosegretaria dei governi Conte e viceministro del governo Draghi ha fatto una lunga e bella campagna elettorale. Da sarda tra i sardi. Non ha voluto condividere con i leader nazionale il palco finale della campagna. Neppure ieri sera. Nonostante Conte e Schlein siano arrivati a Cagliari con l’ultimo volo disponibile. Che il leader dei 5 Stelle sarebbe andato a Cagliari era notizia nota dalla mattina. Si è saputo solo nel pomeriggio che anche la segretaria del Pd sarebbe volata in Sardegna.

La domanda ora è: al di là di Todde, chi ha vinto la Sardegna? Il campo largo, si dirà. Ma si fa presto a dire “campo largo” visto come lo stesso Conte ha alzato paletti e distinguo al Pd e alla Schlein in questi mesi. Conte farà di tutto per intestarsi la vittoria: Todde è la sua candidata che è riuscito ad imporre evitando le primarie di coalizione. E però Schlein avrà dalla sua i numeri: il Pd è il primo partito in Sardegna con 14,4% dei voti (circa 67 mila). Il Movimento 5 Stelle si è fermato a 7,6% e la lista Todde è arrivata al 3,9. Anche sommandoli, sono lontani anni luce dal Pd. E molto meno del 2019. È dunque più che ragionevole dire Todde sia stata accettata e votata dal Pd. Il centrosinistra sardo però è anche Renato Soru che ha stracciato la tessera del Pd perché Schlein ha obbedito a Conte e a i 5 Stelle e non ha fatto le primarie. La sua lista rischia di restare fuori dal consiglio regionale (lo sbarramento scatta al 10%) e di essere alla fine irrilevante. Soru, che del Pd è stato un fondatore, si identifica con la parte più progressista e meno grillina del centrosinistra. Alle 20 Cosa sarebbe successo se ci fossero state le primarie che magari avrebbero indicato comunque Todde è una domanda oggi inutile. Ha il sapore però dell’occasione sprecata. I numeri dicono che la lista Soru ha avuto più voti dei 5 Stelle, 41.367 contro i 35.439 dei 5 Stelle. Le primarie avrebbe evitato una scissione e tenuto il Pd unito in un vero campo largo. Invece, se la notte confermerà la tendenza Todde, oggi Schlein avrà davanti a sé la domanda di sempre: chi è il Pd, quale Pd.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.