Le elezioni presidenziali in Francia si terranno tra breve. Ma, se i sondaggi sono corretti – e tutto fa pensare che lo siano – il vincitore al secondo turno si sa già. Si tratta, naturalmente, di Macron, dato attualmente come favorito già al primo turno, al 31% (fonte Ifop). Per questo, il quesito oggi più interessante e di maggior rilievo non riguarda tanto chi sarà l’inquilino del palazzo dell’Élysée, quanto su quale dei possibili sfidanti attuali vincerà la battaglia che gli o le permetterà di ottenere il “secondo posto”. È su questo che oggi si gioca la campagna elettorale in corso.

Dei quattro candidati in gara, la più debole, secondo le ultime rilevazioni effettuate sulle intenzioni di voto, rischia di essere l’esponente della vecchia destra post gaullista (Les républicains), Valérie Pécresse, stimata al 12%. È una circostanza che suggerisce un’osservazione di carattere più generale sulle trasformazioni dell’intero sistema politico francese. Come si ricorderà, nelle ultime elezioni presidenziali del 2017 si era dissolto il Partito Socialista che aveva a suo tempo vinto la sfida centrale della vita politica francese, due volte con Mitterrand e poi di nuovo con Hollande. Il mancato accesso di Pécresse al secondo turno segnerebbe dunque ora verosimilmente un forte e per certi versi analogo indebolimento dell’altro versante politico, la destra moderata. La ragione di questa evoluzione del sistema politico francese – e in particolare della dissoluzione dei due poli tradizionali, a destra e a sinistra – ha verosimilmente a che fare con la “nuova” spaccatura – emersa in questi ultimi anni e di cui bisognerà indagare con attenzione le ragioni – fra le componenti moderate e quelle radicali in entrambi gli elettorati che si dividevano un tempo all’interno della consueta dicotomia destra/sinistra.

Il particolare sistema delle elezioni presidenziali, basato sul doppio turno, ha spinto infatti la componente moderata del corpo elettorale, sia di destra, sia di sinistra (ma comunque decisamente europeista), a sostenere il candidato che occupa il centro dello spazio politico, Emmanuel Macron, la cui forte crescita recente nei sondaggi si deve al suo ruolo di leader non solo francese, ma europeo, ancor più accentuato dall’inizio dell’invasione dell’esercito russo in Ucraina. Dall’altro verso – e già da tempo – gli elettori estremisti, sia di destra, sia di sinistra, si sono sempre più spostati verso il sostegno dei candidati dei partiti sovranisti e/o etno-nazionalisti presenti nei due campi tradizionali della politica francese. Certamente, la crescita della integrazione europea ha svolto un ruolo importante in questa vera e propria ristrutturazione in corso nel sistema politico d’oltralpe. La Francia, va ricordato, ha una vecchia e ancora forte cultura nazionalista, che ha portato all’esistenza, già dalla fine della Rivoluzione, di una consistente minoranza che non l’ha mai veramente accettata, ma che non ha però mai vinto le elezioni.

Sta di fatto, nel caso in cui Pécresse dovesse essere esclusa dal ballottaggio con Macron, che la destra tradizionale liberale ed europeista sarebbe forse ridotta allo stato di partito marginale, come lo è diventato il Partito socialista, oggi al 2% delle intenzioni di voto. Viceversa, emergono sempre più dai sondaggi più recenti la sinistra troskista di Jean Luc Mélenchon (cui viene attribuito il 10,5% e che, ultimo in classifica, appare oggi comunque escluso dall’accesso al secondo turno) e i due partiti della destra radicale: quello di Le Pen (oggi al 17.5%) e quello di Zemmour (12,5%). La competizione fra gli ultimi due ha spinto di recente Marine Le Pen – che si trova in netto vantaggio sul suo rivale più prossimo – ad ammorbidire in qualche modo le proprie posizioni: una scelta che potrebbe accentuare il flusso di consensi che spinge la parte meno moderata della destra post-gollista a sostenere lei invece di Pécresse, che ha invece evidenti difficoltà a definire con chiarezza la sua offerta politica, schiacciata fra lo spazio centrale occupato solidamente dal presidente uscente e il profilo politico assunto più di recente da Le Pen. Ed è dunque la leader del Rassemblement National che potrebbe verosimilmente, come cinque anni fa, divenire la sfidante di Macron.

Lo scontro fra i due partiti della destra radicale prelude alla successione di Marine Le Pen, se questa, com’è probabile, dovesse essere sconfitta, da parte della nipote Marion Maréchal Le Pen, della quale Eric Zemmour è di fatto l’apripista. La nuova destra francese resta dunque un partito dinastico che si rinnova su una piattaforma che l’ideologo del partito, Zemmour, dovrà a sua volta depurare da pesanti scorie, non solo l’antisemitismo (Zemmour è peraltro un ebreo di famiglia algerina) che è già ampiamente stato sostituito dall’anti islamismo, ma anche da passate compromettenti simpatie della ultradestra francese (e non solo) nei confronti della Russia di Putin. Se lo scenario descritto sin qui – che a un mese dal primo decisivo turno delle presidenziali sembra il più probabile e viene suggerito da tutti i sondaggi – venisse confermato dai fatti, assisteremmo ad una significativa connotazione della politica francese: la contrapposizione destra/sinistra, che per quasi due secoli ha strutturato la politica di oltralpe, sarebbe, come abbiamo sottolineato, almeno nel medio termine sostituita da quella fra l’insieme dei moderati, sia di sinistra, sia di destra, e l’opposizione etno-nazionalista, preponderante, come si è visto, rispetto a quella della sinistra radicale.

Renato Mannheimer, Pasquale Pasquino

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