Nel discorso sullo stato dell’Unione, la presidente Ursula von der Leyen ha annunciato il progettato avvio della Convenzione europea, nel quadro della valutazione dei materiali della Conferenza sul futuro dell’Unione, anche con la finalità della riforma dei Trattati. L’obiettivo è da approvare, ma è certamente ambizioso, considerati gli attuali rapporti tra i partner comunitari e gli ostacoli che si presentano per arrivare a un idem sentire” su di una questione specifica, per quanto fondamentale, quella del gas e della fissazione di un “price cap” , nonché dell’energia in generale.

È ancora vivo il ricordo della, a suo tempo fallita Convenzione, innanzitutto per la contrarietà della Francia. Eppure è un’iniziativa da intraprendere per fare avanzare il processo di integrazione, ma anche per dare risposte adeguate alle posizioni sovraniste – di cui si è discusso pure nella campagna elettorale – e a quelle acriticamente accentratrici. Le singole proposte, quali, per esempio, il superamento del diritto di veto o l’istituzione del Ministro delle finanze unico europeo ovvero, ancora, la revisione dei rapporti tra Europarlamento e Consiglio, per non parlare della previsione di una Comunità europea, secondo la proposta di Macron che sarebbe un organo propedeutico all’integrale partecipazione all’Unione, richiedono, sì, misure specifiche, ma inquadrate in una complessiva rivisitazione di organi e funzioni, non risultando innanzitutto possibile trovare il necessario consenso procedendo “a pezzi e bocconi”. E qui viene in ballo il tema agitato in queste settimane della sovranità nazionale e del rapporto con il processo di integrazione. Si rilevano i problemi che comporta la cessione di sovranità dal livello nazionale a quello europeo. In effetti, non di mero trasferimento dovrebbe trattarsi, ma di partecipazione dei Paesi dell’Unione all’esercizio di una più ampia sovranità, quella europea. Allora, il problema si sposta e diviene quello del modo in cui rendere concretamente possibile tale compartecipazione, perché essa non sia solo declamata.

Dunque, sopravviene il tema della formazione delle decisioni con il problema del diritto di veto e, prima ancora, quello degli organi, a cominciare dal Parlamento, perché abbia un ruolo conseguente alla sua rappresentanza dei cittadini dell’Unione e non una funzione quasi “inferiore” a quella della Commissione e del Consiglio. Insomma, è una organica revisione costituzionale e istituzionale quella che sarebbe necessaria, che si estenda anche ad istituzioni quali, per esempio, la Bce ponendosi l’interrogativo se il mandato che il Trattato le conferisce riguardante soltanto il mantenimento della stabilità dei prezzi non debba essere integrato collocando sullo stesso livello dei prezzi il sostegno all’economia e all’occupazione, alla stregua del mandato della Federal Reserve. Esistono i presupposti per una tale opera “costituente”? La risposta è dubbia. Ma non bisogna dimenticare il principio di sussidiarietà in base al quale ciò che può essere fatto a livello inferiore non va accentrato.

È un principio che è sancito anche dai Trattati di Roma e che bilancia il trasferimento di sovranità, non certo in contrasto con esso. La sua valorizzazione toglierebbe molti argomenti a coloro che ritengono che il processo di integrazione comporti la perdita di sovranità nazionali. Non si parla, qui, di supremazia del diritto nazionale su quello comunitario, anche se ciò avviene non solo in alcuni Paesi che sono considerati non precisamente europeisti come, per esempio, la Polonia, ma anche, sia pure con caratteri suoi propri, in Germania, dove, da ultimo, la Corte costituzionale è impegnata a valutare la coerenza con il diritto interno della disciplina del Meccanismo europeo di stabilità al fine di decidere l’ammissibilità o no della ratifica del relativo Trattato (la Germania e l’Italia sono i due Paesi che non hanno ancora proceduto a tale ratifica). Si può dire anti-europeista la Germania? O piuttosto essa incarna la famosa frase del Marchese del Grillo?

In ogni caso, una coerenza della normativa comunitaria con principi generali, quali quelli della ragionevolezza, della proporzionalità, dell’adeguatezza e della sussidiarietà, non può non ricorrere, come la coerenza con i principi della nostra Costituzione. In caso contrario, se ne debbono trarre le necessarie conseguenze. A volte, se si pensa alla normativa in materia bancaria, questa coerenza appare tuttavia negletta, nella generale assenza, però, di doverose reazioni. Insomma, oggi per agevolare progressi nell’integrazione occorre essere capaci di tenere entrambi i fronti contestualmente, quello della sovranità europea e quello della sussidiarietà. È una linea che spetta tenere, innanzitutto, al Governo, a quello, in particolare, che sarà formato dopo il voto che in questo campo dovrà superare una delle sue prime prove.