Il Parlamento Europeo ha approvato il Rapporto sull’Ungheria e, dopo aver definito quello Stato una “minaccia sistemica” ai valori fondanti dell’Ue in quanto “regime ibrido di autocrazia elettorale”, ha chiesto l’intervento della Commissione e del Consiglio perché siano messe in campo tutte le misure previste dall’articolo 7 dei Trattati europei, tra cui, in particolare, l’esclusione dal sostegno finanziario. Qualsiasi ulteriore ritardo nell’adozione dei provvedimenti richiesti equivarrebbe a “una violazione del principio dello Stato di diritto da parte del Consiglio stesso”. Subito dopo, la Commissione ha chiesto al Consiglio europeo di congelare parte (il 65%) dei fondi di coesione destinati all’Ungheria.

Per quello che concerne l’Italia, va segnalato che i gruppi della Lega e di Fratelli d’Italia nel Parlamento europeo hanno votato contro l’approvazione del Rapporto. La giustificazione che, nella campagna elettorale in corso, hanno dato per spiegare il loro voto è davvero desolante: Orban è stato eletto dai cittadini e, dunque, l’Ungheria è una democrazia. Il che significa che, nella loro cultura politico-istituzionale, i termini elezioni, democrazia e Stato di diritto sono equivalenti. Così si spiegano, probabilmente, alcune sbandate di tali partiti nella collocazione internazionale.
Il termine democrazia, come noto, deriva dal greco ed etimologicamente significa “governo del popolo”. Evidentemente è a questo concetto base che si riferiscono la Lega e Fdi, quando sottolineano che l’Ungheria è una democrazia, in quanto Orban è stato eletto dal popolo. Ma non è un concetto sufficiente a dare conto di quali siano le effettive caratteristiche dello Stato ungherese: la riferibilità al popolo del potere statuale può essere organizzata in molti modi, tanto che anche i regimi totalitari spesso hanno preteso e pretendono di chiamarsi democratici, in quanto prevedono delle strutture di collegamento tra popolo e istituzioni. Maggiormente significativo è, perciò, il riferimento contenuto nel rapporto al concetto di Stato di diritto.

Tale concetto si riferisce alla forma di Stato, che, da un lato, prevede che l’agire dello Stato medesimo sia sempre vincolato e conforme alle leggi vigenti (con la conseguenza che lo Stato sottopone sé stesso al rispetto delle norme di diritto) e, dall’altro, assicura la salvaguardia e il rispetto dei diritti e delle libertà dei singoli. Ed è proprio quest’ultimo l’aspetto che la delibera del Parlamento europeo ha messo in rilievo, denunciando i limiti alla libertà di stampa, all’indipendenza dei giudici e ai diritti delle minoranze, addebitabili, accanto ad altre censure, al Governo di Orban. Assai deludente, perciò, la giustificazione che Lega e Fdi hanno dato al loro voto. Nel momento, tuttavia, in cui il resto delle forze politiche italiane prende una vibrata posizione contro Lega e Fdi, diventa inevitabile chiedersi quale sia l’attuazione dello Stato di diritto in Italia. Una prima risposta è offerta da un articolo, come sempre molto acuto, di Sabino Cassese (sul Corriere del 18 settembre).

Osserva Cassese che in questa legislatura (ma per la verità si tratta di una tendenza in atto da molto più tempo) “il Parlamento-legislatore… è stato pressoché assente: solo un quinto della legislazione è stato di iniziativa parlamentare e la metà degli atti con forza di legge è stata costituita da decreti – legge, cioè da provvedimenti governativi”. Inoltre, in ben 107 circostanze è stata posta la fiducia, con conseguente impossibilità di discutere ed emendare quanto proposto dal Governo. Il quale ha così finito con il sottrarre al Parlamento il ruolo di legislatore. Se a questo si aggiunge che spesso le norme hanno un livello di dettaglio tale, da paralizzare completamente il potere discrezionale della Pubblica Amministrazione, si comprende che i rapporti tra potere legislativo e potere esecutivo sono stati completamente stravolti rispetto al disegno contenuto nella Carta costituzionale.

Un altro stravolgimento concerne il ruolo sempre più politico che la giustizia ha assunto in Italia, specie a partire da Mani Pulite. La Costituzione prevede una netta separazione tra politica e amministrazione da un lato e giustizia dall’altro. Sennonché l’indipendenza dei giudici, che tale separazione ha portato, prima si è tradotta in autogoverno e poi in quella separatezza ed autoreferenzialità, che hanno stimolato l’assunzione di un ruolo politico, un collegamento diretto con l’opinione pubblica e i mezzi di comunicazione e l’apertura delle porte al populismo giudiziario. La conseguenza è che vi è stata una evidente dilatazione del ruolo dei giudici, i quali hanno assunto una posizione centrale nello spazio pubblico, sono divenuti parte della governance nazionale, talvolta pretendendo di giudicare pure i costumi, oltre che i reati, e di delineare quale struttura debba assumere la società e quale debba essere l’organizzazione dello Stato.
Se si tiene conto di questi aspetti, che qui sono stati solo sommariamente richiamati, diventa inevitabile chiedersi se in Italia sia rispettato lo Stato di diritto. La risposta non può che essere negativa, specie ove si consideri che le alterazioni messe in evidenza riguardano aspetti nient’affatto secondari della articolazione del potere immaginata dai Costituenti.

Si aggiunga un altro profilo di singolarità. Le forze politiche, che con maggiore violenza hanno criticato la posizione di Lega e FdI in seno al Parlamento europeo, sono state proprio quelle che in Italia hanno dato con maggiore efficacia il proprio avallo a che lo Stato di diritto fosse sistematicamente violato. Si sono, così, distinte nel favorire il ricorso al voto di fiducia per troncare il dibattito parlamentare, quando hanno governato il Paese, o nel dare il loro sostegno a quella repubblica dei procuratori, che costituisce la punta di diamante nell’espansione del ruolo del sistema giudiziario. Resta una speranza. Poiché si tratta di forze che si proclamano autenticamente europeiste, l’auspicio è che la rilevanza in sede europea della vicenda ungherese le induca a soffermarsi, in modo più serio e responsabile, sul concetto di Stato di diritto e ad impegnarsi affinché anche in Italia esso possa trovare piena attuazione.