L’ottimismo della volontà di Mario Draghi: “Quando a New York incontrerò i capi di stato e di governo degli altri paesi racconterò esattamente il paese che lascio oggi: un paese forte, che cresce, rispetta i conti, coerente, che non ha ceduto a capovolgimenti in politica estera, atlantista, europeista”. Ma qui un giorno e l’altro pure Lega e Fratelli d’Italia, le forze di centrodestra candidate a guidare il prossimo governo, dicono di voler cambiare il Pnrr, mandano avvenimenti all’Europa al grido “tuteleremo gli interessi nazionali”, condividono il “regime ibrido di autocrazia elettorale” di Orban andando contro il Parlamento europeo.

“Io – continua Draghi – posso dire cosa ha fatto fin qui questo governo, un governo del fare e non dello stare, che ha rispettato le promesse date. Poi se c’è uno (Salvini, ndr) che vuol togliere le sanzioni alla Russia e vuol parlare di nascosto con i russi o l’altro (Conte, ndr) che è orgoglioso dei successi in Ucraina e però non voleva mandare le armi, io che ci posso fare? Non condivido però visioni negative e drammatiche. Soprattutto credo nella maggioranza degli italiani che invito tutti ad andare a votare”.

Chissà se quella di ieri è stata l’ultima conferenza stampa del governo Draghi. Sicuramente ci saranno incontri con la stampa nei vertici internazionali a New York in occasione dell’Assemblea delle Nazioni Unite (19-22 settembre) quando appunto Draghi, a tre giorni dal voto, incontrerà i leader mondiali e anche gli investitori e dovrà rassicurare sul passaggio di consegne a palazzo Chigi. Il premier, accompagnato dai ministri tecnici Franco e Cingolani e dal sottosegretario Garofoli si è sottoposto a ben 15 domande accettandone anche tre fuoriprogramma. Ha ripetuto per tre volte e a tre domande diverse, con tre sorridenti “No” la sua non disponibilità ad un nuovo incarico. E’ stato assai più generoso con i ministri Franco e Cingolani, “sono bravissimi e consiglio a chiunque verrà di tenerli in squadra”. Gli interessati sono quasi arrossiti. Negando. Ha fatto buon viso a chi gli ha chiesto un giudizio su questa campagna elettorale “così becera e dai toni non commentabili”. “Ma io non posso giudicare visto che, come dice lei, sono stato calato dall’alto” ha replicato. Aplomb e sorrisi. Nessuna intenzione di mollare l’agenda del suo governo. E snocciola, supportato poi dal ministro Franco, i provvedimenti del decreto Aiuti ter approvato in mattinata. Sono altri 14 miliardi che vanno a famiglie ed imprese contro il carovita. “Se fate i conti – sorride il premier – sommando i 17 del 4 agosto e i 14 di oggi sono un miliardo in più di quei trenta che qualche forza politica chiede aumentando però il debito. Noi li stiamo dando senza toccare i conti dello Stato ed evitando così tensioni sui mercati”. L’augurio, quasi una raccomandazione, è che anche il prossimo governo “segua gli stessi criteri”.

Nei 14 miliardi c’è il bonus sociale (150 euro netti) per 22 milioni persone con Isee fino a 35 mila euro, il credito d’imposta portato al 40 per cento per le aziende gasivore e del 30% per quelle dai 4 ai 16 kgw (due milioni di piccole imprese), i 190 milioni per l’agricoltura e le pesca, i 100 milioni per il trasporto pubblico locale, i 40 milioni per cinema e tratti strozzati anche loro dalle bollette, 400 milioni per le Regioni per pagare le utenze di ospedali e Rsa, per il terzo settore e gli impianti sportivi. “La novità – ha spiegato il ministro Franco – è che le banche hanno accettato di lavorare per il paese e di accordare prestiti alle aziende in crisi di liquidità con tassi pari a quelli dei Btp, la garanzia è data dallo Stato ed è un prestito senza interessi che può essere restituito in 4-5 anni”. Non è la rateizzazione delle bollette ma si avvicina molto. Per il futuro il ministro Cingolani si è detto fiducioso sul tetto al prezzo del gas (“il 30 settembre avremo la risposta”) e comunque tra risparmi nel consumo dell’energia, stoccaggi che sono all’85%, diversificazione delle fonti (ieri il Cdm ha approvato sei ulteriori impianti eolici finora bloccati da vincoli paesaggistici) il paese “non deve temere l’inverno e la recessione”. La ricetta è “mettere in sicurezza l’ambiente produttivo”.

Poi Draghi ha voluto fare chiarezza una volta per tutte sul dossier Usa sui 300 milioni russi pagati in almeno venti paesi dal 2014 a oggi per influenzare le politiche nazionali. E’ stata una parola netta: l’Italia e nessun leader politico italiano è “al momento” coinvolto in questa storia. “Ho chiamato Blinken, mi è sembrata la cosa più naturale da fare. Successivamente anche l’intelligence Usa ha confermato di non disporre di alcuna evidenza di finanziamenti occulti russi a candidati e partiti politici che competono nell’attuale tornata elettorale”. Anche su questo Draghi ha voluto andare oltre la stretta comunicazione. E ha dato il suo punto di vista: “La democrazia italiana è forte, non si fa abbattere da nemici esterni, dai loro pupazzi prezzolati. Dobbiamo essere fiduciosi nella nostra democrazia. Non bisogna avere timore di qualunque voce. E’ chiaro che negli ultimi venti anni il governo russo ha effettuato una sistematica opera di corruzione nel settore degli affari, della stampa, della politica, in tanti settori, in molti Paesi europei e negli Stati Uniti. Queste sono cose note e non c’è niente di cui stupirsi”. Capitolo chiuso. In 72 ore.

Ieri il Consiglio dei ministri ha approvato due decreti legislativi di attuazione della legge sulla concorrenza: il servizio pubblico locale (treni, bus, corriere) e la mappatura delle concessioni demaniale, il primo passo della Bolkestein. Il centrodestra in campagna elettorale ha assicurato che “a quella legge ci penseremo noi una volta al governo”. Ma è una riforma chiave del Pnrr che va realizzata entro il 31 dicembre altrimenti perdiamo la tranche da venti miliardi. I ministri della Lega si sono rifiutati di votare la misura in consiglio dei ministri. Garavaglia ha quasi minacciato le dimissioni. Vedremo. I soldi arrivano se facciamo le cose. Altrimenti non arrivano. Un altro pugno sui tavolo è arrivato la delega fiscale. “I partiti si erano impegnati di votarla ed approvarla entro il 7 settembre. Il governo si era impegnato a non procedere con i decreti delegati. Noi siamo stati di parola. I partiti no” ha detto Draghi. “Ma – ha aggiunto – c’è ancora una settimana in cui il Senato può dimostrare di mantenere la parola data”. Il Parlamento dovrà lavorare. Fino all’ultimo giorno.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.