Sarebbe bastato poco a impedire che Itamar Ben Gvir, l’oltranzista che da ministro della Sicurezza Nazionale di Israele ha garantito e tenuto in ostaggio l’ultima fase del potere corrotto di Benjamin Netanyahu, si abbandonasse alla sua “provocazione”, l’altro ieri, salendo sul Monte del Tempio per maledire i Paesi che hanno annunciato il riconoscimento dello “Stato di Palestina”.

Non avrebbe potuto farlo se la Norvegia, la Spagna e l’Irlanda (ma è verosimile che sia in arrivo un corteo di analoghe iniziative da parte di altri) avessero chiarito che la loro propensione è subordinata a un presupposto tanto semplice quanto implicante: e cioè che il popolo palestinese può coltivare l’ambizione di costituirsi in uno Stato a condizione che sia liberato, o si liberi, dal giogo delle organizzazioni terroristiche che ormai non solo a Gaza, ma ovunque, hanno soppiantato la rappresentanza dell’Autorità Nazionale Palestinese, ormai non più che un simulacro.

La diffusa istanza di riconoscimento dello “Stato di Palestina” finge di poter trascurare che quella dicitura rimanda a una realtà inattuale, con un aggancio a una risoluzione simbolica delle Nazioni Unite e a una iniziativa di auto-proclamazione che, di fatto, non hanno condotto a società infrastrutturate e a ordinamenti anche solo vagamente ispirati a passabili criteri di convivenza civile, ma a una rete di tunnel e a un’involuzione fondamentalista che è il “Deep State” nell’involucro che si vorrebbe riconoscere e che inviluppa di legittimità quel nocciolo contaminato.

Non dire nulla in argomento, fare finta che lo “Stato di Palestina” da riconoscere possa essere quello che si giustappone con le parole di Khaled Mesh’al, il leader palestinese secondo cui (è una dichiarazione dell’altro giorno, anche se non è niente di nuovo) “per il bene dell’umanità è importante che i sionisti siano annientati”, significa semplicemente e drammaticamente due cose.

Significa non curarsi del fatto che Israele sia condannato all’insicurezza e significa assistere in sostanziale complicità al lavoro di chi ben volentieri, da una camera di albergo da tremila dollari al giorno, assicurerebbe al popolo palestinese un futuro di miseria e cinture esplosive. Questi disinvolti propugnatori del riconoscimento “a prescindere” dove vorrebbero che si tenessero gli incontri tra plenipotenziari nel nuovo “Stato”? In una sede diplomatica doverosamente ricostruita o nei sotterranei in cui, oggi, le ragazze rapite aspettano la duecentotrentesima notte di stupro?