Prosciolti a Milano
Storia dei processi Ruby, dopo 13 anni di gogna assolto per la quinta volta Berlusconi

Assolto assolto assolto assolto assolto. Cinque volte per lo stesso fatto. Silvio Berlusconi è innocente. Non ha corrotto testimoni perché tacessero su serate peccaminose. Il fatto non sussiste. Non ha comprato il silenzio di ragazze e suonatori, forse anche perché non c’era proprio niente da raccontare. Colpevoli la Procura di Milano, che ha chiesto sei anni di carcere per l’imputato, e il “rito ambrosiano” che ha cercato per dodici anni di catturare il “nemico”, spargendo per il mondo quel racconto di bunga-bunga buono a irridere la persona prima ancora che lo statista.
Colpevoli Marco Travaglio e la sua triste banda di piccoli uomini che ancora ieri, con l’apertura di giornale e quattro articoli, istigavano i giudici a condannare. Vediamo ora se, dopo il deposito delle motivazioni della sentenza del giudice Marco Tremolada, la procura di Milano avrà il coraggio di appellarsi contro l’assoluzione. Sarà una bella prova per il nuovo procuratore Marcello Viola, una presenza di discontinuità dopo la sfilata di predecessori tutti aderenti a Magistratura Democratica. Con oggi viene restituita dignità e reputazione non solo all’ex presidente del Consiglio, ma anche a una serie di ragazze insultate persino da altre donne.
A Karima El Mahroug, prima di tutto, la ex ragazzina inquieta cui la pm Ilda Boccassini attribuì una certa “astuzia levantina”. E a tutte coloro che con disprezzo venato di razzismo venivano definite “olgettine”, e a cui un’altra donna-pm, Tiziana Siciliano, ha riservato parole pesanti, alludendo alla loro passata bellezza e a quel che ora non sarebbe più. Su una cosa ha ragione la pm: tanto tempo è passato e nessuno, neppure lei e neppure noi che scriviamo dal primo giorno di questo processo, è lo stesso di allora. Immutabili sono soltanto il “rito ambrosiano” della procura e lo squallore di certi media.
Sono passati tredici anni da quella notte tra il 27 e il 28 maggio del 2010 in cui quella ragazzina di nome Karima El Mahroug fu fermata per furto, poi fu trasformata in vittima, poi in puttana e infine in bugiarda e corrotta. Poi divenne bambolina e giocattolo nelle mani di magistrati e giornalisti che fecero di lei di tutto. Lei che ha sempre risposto di no alla domanda ossessiva sul sesso con il “vecchio satrapo” e che solo in quest’aula, dove è comparsa d’improvviso il 5 ottobre scorso, dopo dieci anni di assenza e di silenzio, si è finalmente sentita protetta. Così ha detto, dopo aver finalmente potuto parlare senza pressioni e dopo aver ascoltato le parole dei suoi avvocati Paola Severino e Jacopo Pensa. Non è più una ragazzina, è donna, è madre, ha trent’anni. Ma ci fu quell’estate in cui fu sottoposta a ripetuti interrogatori e all’incubo di quella stessa domanda che una volta fioriva sulle labbra dei preti di campagna: quante volte? E, benché lei avesse sempre risposto di no, che mai aveva fatto sesso con lui, fu indagato Silvio Berlusconi per prostituzione minorile. E questo, benché nessun processo abbia potuto dimostrare che ci sia stata prostituzione né che il leader di Forza Italia sapesse che la ragazza non aveva ancora compiuto diciotto anni.
Ma il “rito ambrosiano” dei processi inaugurato ai tempi di Tangentopoli dal gruppo che ebbe l’ardire di definirsi Mani Pulite, non si è smentito neppure in quell’occasione. Così la dottoressa Ilda Boccassini in versione pensionata e autrice delle proprie memorie, ricorda quando il procuratore capo Edmondo Bruti Liberati le affidò quell’inchiesta in quanto “delicata” perché riguardava il presidente del Consiglio in carica. Senza però spiegare quei sei mesi di ritardo per l’iscrizione dell’indagato nell’apposito registro. Tanto il Csm si è ben guardato dall’aprire una pratica su quella “svista” della procura milanese. Silvio Berlusconi è stato portato a processo come un prigioniero di guerra il cui scalpo è stato esibito in tutto il mondo. Una volta, se prendevi un taxi a New York e pronunciavi il suo nome il conducente sudamericano diceva trionfante “Milan”. Nell’era dei processi “Ruby” invece ammiccavano, “bunga bunga”. Senza sapere, in giro per il mondo, né la storiella di quella parolina ripetuta, né che quei processi erano stati un fallimento, uno dopo l’altro.
Quello principale, con l’accusa di una concussione mai esistita e sempre negata dalla presunta vittima, e per la prostituzione minorile anch’essa sempre negata dall’altra vittima. E poi tutto ciò che è conseguito da quella clamorosa assoluzione di Silvio Berlusconi. Perché il “rito ambrosiano”, a partire dagli eroi di Mani Pulite in avanti, ha sempre avuto una caratteristica: mai arrendersi. Quindi, se nel processo da cui l’imputato è uscito trionfante non si è trovato uno straccio di testimone d’accusa, allora vuol dire che tutti quelli che sfilavano a giurare che Berlusconi non aveva commesso nessun reato (da non confondersi con eventuali ”peccati”) erano prezzolati. Erano stati corrotti. Così nascono i fiumiciattoli processuali affluenti del fiume principale. E qui le cose cominciano ad andare male, per il “rito ambrosiano”. Perché al Ruby ter accade l’imprevedibile.
Il tribunale emette un’ordinanza che dichiara nulle una serie di testimonianze rese nel processo principale di persone che erano in realtà già indagate, e avrebbero dovuto essere interrogate con le tutele previste dal codice, in presenza del difensore. Con la conseguenza che, se non si trattava di testimoni, non erano neppure pubblici ufficiali, il che faceva cadere i reati di corruzione in atti giudiziari e di falsa testimonianza. Il processo “Ruby ter” è finito quel giorno. Perché era palese il fatto che la procura avesse già compiuto una serie di atti investigativi nei confronti di quelle persone, che di conseguenza non potevano essere chiamate in aula nelle vesti di testimoni. Processo finito nei fatti, il che non impediva che si arrivasse alla richiesta di condanna a sei anni di carcere per Berlusconi, cinque per Karima El Mahroug e poi a scendere per gli altri ventisette imputati.
Ma altri due fatti nel frattempo intervenivano a rovesciare il tavolo dell’accusa. Due assoluzioni, a Siena e a Roma, dei due musicisti Danio Mariani e Mariano Apicella, per quest’ultimo addirittura su richiesta dello stesso pm. Il fatto non sussisteva in nessuno dei due casi. Berlusconi li aveva sempre retribuiti, prima e dopo i processi, per la loro musica e non per corromperli. È anche per tutte queste evidenze che la presidenza del Consiglio ha deciso, a due giorni dalla sentenza, di ritirare la propria costituzione di parte civile avanzata in altri tempi dal governo Gentiloni.
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