C’è sempre un cecchino. Tutti lo devono sapere: ogni volta che il gruppo di magistrati che costituiscono “Il sistema” decide di eliminare un avversario politico o un nemico-collega che sta fuori dal gruppo, c’è sempre qualcuno che si apposta sul tetto del palazzo di fronte e impugna un’arma. Del “sistema” ha fatto parte Luca Palamara, che lo ha denunciato nel suo libro che ne prende anche nome nel titolo, e lo racconta dal suo punto di vista di magistrato che ha occupato ruoli di potere sia al Csm che nel sindacato delle toghe. E riscrive la storia, vista dall’interno della pancia del “sistema”. Di cui la vittima più famosa è certamente Silvio Berlusconi. Ma non è il solo.

E la sua vicenda non è l’unica che abbia cambiato la storia politica del Paese, o di una parte di esso. Ci sono magistrati carnefici e, a volte, anche magistrati vittime. Come è stato a Roma per due persone che hanno onorato la toga come Michele Coiro e Francesco Misiani. Magistrati di sinistra annientati, fino a morirne, dalla sinistra. Le toghe del “sistema” contro quelle fuori-sistema. È la storia che cambia la vita delle persone, e anche la politica. Prendiamo il caso che a Milano, qualche anno fa, vide contrapposti il procuratore capo Edmondo Bruti Liberati e il suo aggiunto Alfredo Robledo. Vista da Roma, e dall’interno del Csm, la vicenda ha le sembianze di un esposto presentato da Robledo contro il suo superiore. E finirà con il cecchino che tirerà fuori da carte ormai archiviate dalla procura di Brescia alcune intercettazioni prive di rilievo penale da passare a un giornalista dell’Espresso. Il tiro andrà a segno.

La stessa storia vista da Milano, ha la faccia di Beppe Sala, che probabilmente oggi non sarebbe sindaco (e nuovamente candidato), se non fosse intervenuto il “sistema” con i suoi uomini. Che si chiamano Giorgio Napolitano (presidente della repubblica), Matteo Renzi (presidente del consiglio), Edmondo Bruti Liberati, procuratore capo della repubblica. La distinzione tra Robledo e Bruti è solo dovuta al fatto che l’uno era (nessuno dei due indossa più la toga) un magistrato “normale”, l’altro faceva parte di quella corrente di Magistratura democratica che teorizzava come compito del giudice quello di cambiare la storia con le sentenze. Una sorta di lotta di classe in toga, insomma. Ma lo scontro tra i due non fu ideologico.

Semplicemente fu sullo “stile ambrosiano”, che aveva una visione molto elastica del principio dell’obbligatorietà dell’azione penale. Così il procuratore capo aveva tolto di mano in modo sistematico le indagini più delicate al suo vice, che aveva la delega ai reati contro la pubblica amministrazione. Dal Caso Ruby alle indagini sull’Expo, fino alla vendita di Sea, la società degli aeroporti milanesi. Accelerare o frenare, a seconda dell’interesse politico, questo era lo “stile ambrosiano”.

Di questo si era lamentato Alfredo Robledo nell’esposto. Che aveva messo in difficoltà il Csm, perché era fondato. Ma il “sistema” si muove subito, fino ai suoi vertici più elevati. Interviene Giorgio Napolitano che, in quando presidente della repubblica è anche il capo dell’organo di autogoverno della magistratura. E non lascia scampo. Invia una lettera al plenum del consiglio per ricordare che il capo dell’ufficio ha diritto di assegnare i casi a chi gli pare. Chissà se intendeva anche parlare dei binari morti. Cioè quelli dove finivano i fascicoli che andavano rallentati. Sarà un caso, se il 5 agosto del 2015 il presidente del consiglio Matteo Renzi è a Milano in procura a ringraziare Bruti Liberati per la “sensibilità istituzionale” mostrata sul caso Expo?

Tutto il resto, quel che era accaduto fuori dal “sistema” pareva marginale. Il fatto che il procuratore generale Minale avesse a sua volta lamentato con il consiglio giudiziario e lo stesso Csm il comportamento di Bruti Liberati e che fosse stato costretto ad avocare a sé l’inchiesta, raccogliendola dal binario morto. Il fatto che Beppe Sala, ormai candidato dalla sinistra di sistema e poi eletto sindaco, finisse poi condannato per falso e infine, di recente, salvato dalla prescrizione del reato. Tutto ciò dopo aver goduto di due anni interi di moratoria. In procura a Milano nel frattempo è subentrato Francesco Greco, successore a tutti gli effetti di chi lo aveva preceduto. A conferma della blindatura della procura di Milano da parte di Magistratura democratica, la corrente di appartenenza degli ex capi dell’ufficio Borrelli e D’Ambrosio.

Proprio nel 2021 l’attuale procuratore capo di Milano compie settant’anni, l’età della pensione. E forse sarebbe anche ora di cambiare il famoso “stile ambrosiano”. Quello per esempio per cui Francesco Greco non ebbe esitazione nell’inviare al Csm una relazione contro il suo ex maestro Francesco Misiani che gli aveva chiesto qualche banale informazione sull’inchiesta milanese che riguardava il collega Squillante. Ma non ebbe neppure pudore nel proseguire la politica del binario morto, come quella delle indagini su Expo. Che, ripensando a quegli anni, non fu neanche la più grave. Ci fu la questione della vendita di una quota di Sea, la società che gestisce gli aeroporti milanesi, che fu poi aggiudicata da F2i. Che in questa storia è forse il più innocente.

Tutta Milano sapeva che quel bando doveva finire così. Ma si intromise un magistrato di Firenze, il quale inviò a Bruti Liberati un’intercettazione in cui si parlava di gara preparata su misura. L’intercettazione rimase per tre mesi nella cassaforte del procuratore capo, “dimenticata”. Quando lui se ne ricordò, ormai la gara era terminata. Dopo che un imprenditore indiano, Vinod Saha, che avrebbe offerto di più di F2i, fu fatto disperdere dai suoi accompagnatori nei meandri di Palazzo Marino (neanche fosse Versailles) fino ad arrivare a presentare la sua offerta dieci minuti dopo l’orario di scadenza. Come sarebbero andate le cose se un cecchino ingaggiato dal “sistema” e appostato al palazzo di fronte non avesse mirato su Robledo?

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.