Almeno 97 i morti, sia militari che civili, e circa trecento i feriti negli scontri scoppiati in Sudan tra l’esercito regolare e il gruppo militare Rapid Support Forces (RSF), le forze di supporto rapido. La maggior parte dei combattimenti si sono tenuti nella capitale Khartum. Il rischio è che gli scontri sfocino in una vera e propria guerra civile. Entrambe le fazioni si sono dichiarate disponibili all’apertura temporanea di corridoi umanitari chiesti dalle Nazioni Unite, salvo arrogarsi il diritto di aprire il fuoco in caso di attacchi dalla parte avversa. Lo spazio aereo è stato chiuso.

Gli scontri sono esplosi sabato scorso, di mattina, nella capitale e si sono estesi nel resto del Paese. Si sono verificati anche bombardamenti aerei, anzi è partito tutto dai bombardamenti di una base militare controllata dalle RSF. L’esercito ha detto di aver colpito con i caccia le basi. Gli scontri si sono intensificati, estesi al palazzo presidenziale e all’aeroporto, è stata usata l’artiglieria. La popolazione civile è bloccata in casa. L’elettricità è saltata in diverse città. I combattimenti sono esplosi anche all’aeroporto di Khartoum.

L’esercito regolare è comandato dal generale Abdel Fattah al Burhan. Il gruppo RSF è comandato dal generale Mohamed Hamdan Dagalo, noto anche come Hemetti, ex vicepresidente, che conta tra i 70 e i 100mila membri. Era il 2021 quando i due avevano formato il Consiglio Sovrano, il governo composto da una giunta militare che aveva rovesciato nel 2019 con un colpo di Stato il regime democratico instaurato dopo la caduta del lungo regime di Omar al Bashir.

Il governo militare aveva accettato nel dicembre del 2022 di riprendere il percorso di democratizzazione. Le condizioni dettavano anche lo scioglimento delle RSF all’interno dell’esercito regolare sotto un unico comando ma Dagalo si era opposto e aveva detto che per l’integrazione sarebbero stati necessari almeno dieci anni. Gli scontri esplosi sabato si preparavano da tempo, con l’ammassamento di soldati e l’organizzazione di posizioni e basi. RSF derivano dai Janjawid, miliziani di etnia araba fedeli ad al Bashir accusati di genocidio per massacri e torture nella regione del Darfur, di recente molto legati alla compagnia di mercenari russa Wagner, impegnata anche in Ucraina, e attiva in diversi Paesi africani negli interessi di Mosca.

RSF furono fondati nel 2013 per vole di al Bashir proprio per far confluire al loro interno i Janjawid. Dagalo era uno dei capi principali della milizia, divenne capo delle RSF e dal 2017 utilizzò la milizia per controllare le miniere d’oro del Darfur e per arricchirsi. Ha accusato Al-Burahn di nascondersi “sotto terra e spinge i figli dei sudanesi a combattere”, mentre “un certo numero di ufficiali si sono uniti alle forze di supporto rapido”. È incerto l’andamento della guerra al momento con Dagalo che rivendica la conquista del 90% delle aree militari e l’esercito che rivendica il controllo di tutto il quartier generale delle forze di supporto rapido a Om Dorman. Le autorità locali del Darfur hanno lanciato un appello a cessare i combattimenti e a ridurre l’escalation. Intanto il consiglio della Lega araba ha indetto una riunione urgente. Dal Sudan partono tanti dei flussi migratori che dall’Africa subsahariana arrivano in Libia per poi salpare attraverso il Mediterraneo verso l’Italia e l’Europa.

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Giornalista professionista. Ha frequentato studiato e si è laureato in lingue. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Ha collaborato con l’agenzia di stampa AdnKronos. Ha scritto di sport, cultura, spettacoli.