«La Cina è vicina» scriveva nel 1957 raccogliendo le sue corrispondenze dal dragone Enrico Emanuelli – da cui Marco Bellocchio trasse spunto per il suo omonimo film – e mai come oggi questo potrebbe essere il motto inciso sulle difese di Taiwan, ultima roccaforte di una Cina che non esiste più. Una resistenza che ricorda la tenacia degli ultimi pompeiani nella seconda guerra civile romana, esaltata dai fieri e nostalgici versi di Lucano: «La nostra Pharsalia vivrà in eterno e nessun tempo ci condannerà all’oscurità». Una “provincia ribelle” come la definisce il regime di Pechino, l’ultimo sussulto democratico nato dalle armate sconfitte di Chiang Kaishek per resistere all’avanzata delle armate rosse, e dunque un baluardo occidentale nel cuore dell’impero cinese. Ma la morsa intorno a Taiwan inizia a stringersi, perché l’obbiettivo dichiarato del Presidente Xi è quello di completare la riunificazione, e dunque di compiere quell’unico passo che non è riuscito neppure al grande timoniere Mao. Ma intorno all’isola si giocano equilibri ben più grandi che in quelle acque portano a confrontarsi l’Impero americano e quello cinese.

La nuova guerra fredda nel Pacifico

La nuova guerra fredda, nel Pacifico combattuta a ritmi diversi, ritmi cinesi, e dunque molto lontani dalla mentalità occidentale, mette alla prova la tenuta psicologica di una deterrenza che è militare, politica e infine storica. La Cina quotidianamente mette alla prova non solo le difese di Taiwan ma la tenuta stessa degli alleati di Washington. Esercitazioni che Pechino spinge fino ai limiti delle acque territoriali di Taipei, che hanno un duplice scopo: quello di saggiare la capacità e le tattiche taiwanesi ma anche, e soprattutto, per esercitare una pressione tale da sfibrare la macchina alleata nell’Indo-Pacifico.

Il discorso del presidente

L’ultima in ordine di tempo che ha visto 71 aerei e 21 navi, tra cui la portaerei Shandong, operazioni che si sono spinte fino alle fatidiche 24 miglia nautiche e quindi a ridosso delle acque territoriali della ex Formosa. Per il portavoce del governo cinese si è trattato di “manovre legittime e necessarie per salvaguardare la sovranità e l’unità nazionale della Cina”. La causa o meglio il pretesto utilizzato dal governo comunista cinese è stato il discorso del Presidente di Taiwan Lai Ching – Te che il 13 marzo nel corso di un suo intervento ha definito Pechino “una forza ostile straniera”. Per i cinesi è importante anche capire le reali intenzioni di Trump e della nuova amministrazione Usa che sul Pacifico sta gradualmente spostando tutte le attenzioni.

L’aggressività cinese

Intanto la propaganda cinese mostra l’aggressività cinese e i mezzi che potrebbero essere utilizzati per l’attesa invasione. Mentre gli Stati Uniti e alleati continuano oramai a domandarsi non più il se dell’invasione ma il quando dell’invasione. Intanto la tensione cresce anche in medio oriente tra Stati Uniti e Iran, con Donald Trump ha lanciato il suo ultimatum a Teheran, ammonendo il regime degli ayatollah a siglare un nuovo accordo sul nucleare, altrimenti gli Stati Uniti provvederanno a bombardare gli obiettivi strategici. Il clima è evidentemente incandescente, e il Presidente Usa ha già inviato sei bombardieri B2 nell’oceano indiano che per le loro caratteristiche sono adatti a colpire strutture in profondità come i siti nucleari iraniani. Queste mosse chiariscono in maniera evidente quali siano oggi le priorità di Washington sullo scacchiere mondiale.

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Nato nel 1994, esattamente il 7 ottobre giorno della Battaglia di Lepanto, Calabrese. Allievo non frequentante - per ragioni anagrafiche - di Ansaldo e Longanesi, amo la politica e mi piace raccontarla. Conservatore per vocazione. Direttore di Nazione Futura dal settembre 2022. Fumatore per virtù - non per vizio - di sigari, ho solo un mito John Wayne.