Le misure di contrasto alla povertà
Togliere il reddito di cittadinanza a chi non fa lavori utili
In Campania le famiglie che a maggio hanno percepito il reddito o la pensione di cittadinanza sono state oltre 275mila, un numero che sfiora quello dell’intero Nord (281.786). È fuori discussione, l’istituzione del Reddito di cittadinanza ha rappresentato e sta rappresentando una misura utile a contrastare povertà e disagio sociale quando però indirizzato e percepito da soggetti che effettivamente si trovano in condizioni di difficoltà, talvolta per causa di mancanza di lavoro ma anche per inabilità fisiche specifiche. Balzano alle cronache però, praticamente tutti i giorni, episodi di persone che lavorano in nero o che comunque non avrebbero alcun diritto di ricevere l’assegno e che, invece, riescono a percepire le preziose cifre in denaro, talvolta per più componenti familiari, fino a raggiungere importi considerevoli.
I controlli ci sono, vengono smascherati tanti disonesti che però, il sospetto è più che fondato, rappresentano solo una punta dell’iceberg truffaldino di questa misura sociale così bella nell’intento ma così appetibile dagli impostori, categoria che imperversa, ahimè, in tutti i settori della vita pubblica. Il reddito di cittadinanza, ricordiamolo, fu un provvedimento presentato “per il lavoro”, doveva essere infatti una misura temporanea per l’avviamento poi a un impiego, privato, pubblico dove possibile. Ad aiutare questo passaggio, da percettore di reddito di cittadinanza a lavoratore era stata creata anche la famosa figura del “navigator”, una professionalità che, però, per la mancanza della materia prima, appunto il lavoro, ben poco può fare.
Un altro aspetto interessante era quello del coinvolgimento degli enti locali, dei Comuni in particolare, dovevano entrare in campo e interessare i percettori, quelli abili a svolgere mansioni anche semplici, per svolgere attività di utilità pubblica per poche ore la settimana: aiutare in biblioteca, all’ufficio del protocollo, ai servizi sociali, curare archivi o tagliare erba nei giardini pubblici. Questo aspetto, però, anche se coinvolgente e gratificante per il percettore che si sente utile alla sua comunità, è poco utilizzato e messo in campo raramente o in minima parte dai Comuni. Eppure potrebbe essere una svolta importante, di grande utilità per la collettività. Sarebbe anche un disincentivo agli imbrogli, visto che il truffatore di turno sarebbe costretto comunque a svolgere un’attività lavorativa, peraltro pubblica e visibile. Il sindaco di Bacoli, Josi Gerardo Della Ragione, sta facendo scuola per efficienza in questo campo. E allora perché non trasformare il reddito di cittadinanza in una sorta di “buono di cittadinanza”? Nel senso che il percettore può riscuotere la somma a patto di svolgere un’attività di pubblica utilità organizzata dal Comune di appartenenza.
Solo allo svolgimento accertato dell’attività si potrebbe riscuotere la somma spettante che verrebbe erogata proprio dallo stesso Comune. In questo modo i Comuni sarebbero compulsati dai percettori stessi a organizzare progetti di utilità sociale che li coinvolgono. Potremmo avere strade pulite, aiuole curate, archivi sistemati e protocolli a posto. Penalizzare le amministrazioni comunali inadempienti e incapaci di realizzare progetti ai fini dei trasferimenti statali, potrebbe essere anche un ottimo argomento per ricavare il massimo impegno dei sindaci. Ovviamente sarebbero esonerati quei soggetti inabili alle attività organizzate, anche se le recenti esperienze di smart working potrebbero coinvolgere molte più persone. Dal “Reddito” al “Buono”, sarebbe un vantaggio per tutti.
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