La Cina e il silenzio... di Hormuz
Trump ringrazia l’Iran, la piccola Hiroshima, e tratta Putin come uno di famiglia: “L’articolo 5 Nato? Vedremo”
Le atomiche influirono sulla fine della guerra col Giappone che non si arrese per niente, almeno fin quando fu l’imperatore a imporre il suo regime change

Trump si è impossessato della comunicazione planetaria e sta imponendo uno stile senza precedenti. Ieri, ai microfoni della conferenza della Nato dell’Aia, avendo al fianco Rutte, ha detto in apparente candore che il bombardamento delle strutture nucleari iraniane è stato “come Hiroshima” una botta e via. Fa un po’ male ma poi tutto va meglio di prima. E ha ringraziato sentitamente i bombardati iraniani, dando atto che con loro fare la guerra è un privilegio che comporta reciproco rispetto e stima.
Il grazie a Teheran
Ha ringraziato Teheran per aver gentilmente preavvertito dove e quando avrebbe bombardato una base americana, perché purtroppo non si poteva sottrarre a un dovere formale così come si faceva nei d’onore “Messieurs les Anglais, tirez le premiers” dicevano i messaggeri francesi all’inizio della battaglia durante la Guerra dei Sette anni in Canada. Gli inglesi così sparavano la prima salva, molto utile per i francesi che sapevano calcolare dove si nascondevano le batterie nemiche. Ma Trump si spinge oltre ed esprime un grato saluto a Putin. Perché? Perché Putin – visto i possibili rischi che potevano derivare prima dall’attacco solo israeliano e poi da quello congiunto americano-israeliano – anziché farsi venire una crisi di nervi (in fondo l’Iran è suo alleato e fornitore di droni e artiglieria) ha telefonato Trump per dirgli: “Posso essere utile?”. E Trump: “Grazie Vladimir sei veramente gentile”.
Allo stesso Vladimir però due settimane fa Trump in un attacco di furia gli aveva inflitto una intemerata: “Vladimir! Tu mi conosci. Tu sai di che cosa sono capace. Hai preso una brutta strada?”. Si riferiva ai soliti stagnanti negoziati con gli ucraini. E Putin non reagì. Ha i nervi a posto, parla piano e con tono annoiato sospira in televisione: “Vedremo che cosa si potrà fare quando i tempi saranno maturi”. Poi, Trump ha inflitto un cazziatone a Netanyahu perché dopo l’entrata in vigore della tregua gli israeliani hanno scaricato sull’Iran tutte le bombe che avevano a bordo dei loro aerei e Trump ha usato un linguaggio da carrettiere: “What the fuck are you doing?”, che cazzo state facendo? Non mi siete piaciuti affatto voi israeliani. Poi però li ha lodati e faceva capire che a lui non può sfuggire un solo dettagli, nessun trucco dietro le spalle.
“L’articolo 5? Vedremo”
Vicino a lui stava Rutte convinto che la prossima mossa espansiva russa sarà sull’Estonia per sfidare l’articolo 5 della Nato che impone a tutti i Paesi membri di entrare in guerra contro l’aggressore. Rutte dice a Trump: “Stiamo lavorando per portare la spesa militare al cinque per cento e sono sicuro che in caso di aggressione Trump ci difenderà. Trump è distratto e dice sì, certo. Poi ci ripensa e dice ma, chissà, vedremo. Gelo sul mondo: Trump tratta Putin come uno di famiglia, magari un po’ manesco, ma se si parla dell’intervento automatico in caso di aggressione russa, dice parole vaghe che danno la prova a Putin che il vincolo Usa-Nato è logoro, anzi irrilevante e che potrebbe recuperare i Paesi Baltici, parti dell’impero in nome dei diritti della storia.
Infine, Hiroshima. L’idea di Trump è che le due bombe atomiche lanciate nel 1945 su Hiroshima e Nagasaki – centocinquantamila morti conto i due-trecentomila di ogni battaglia nel Pacifico- costrinsero il Giappone alla resa. Ma non è del tutto vero, perché la casta militare giapponese era pronta a resistere ancora per anni dopo le atomiche e fu l’imperatore -minacciato di morte dagli americani – a imporre un “regime change” che portasse alla resa incondizionata cui seguì la dittatura del generale americano McArthur con la sua pipa di schiuma, che realizzò l’unico caso di esportazione della democrazia, imponendola con successo e per sempre. E neanche da un punto di vista simbolico e militare il paragone calza, perché l’Intelligence americana fa trapelare che le cose non sono andate come dovevano andare: l’uranio arricchito (secondo fonti di Langley sede della CIA), era stato in parte messo già in salvo dagli iraniani insieme a un paio di turbine. E Trump se ne rende conto quando afferma per lungo tempo che il problema della bomba iraniana da lanciare su Israele non si porrà. L’accordo che ha proposto all’Iran è quello del rifornimento di uranio occidentale con divieto di produrne di arricchito sopra il sei per cento.
La Cina e il silenzio… di Hormuz
Per oggi ci si deve contentare: la guerra mondiale non la vuole nessuno, Putin e Trump si amano e si fanno scenate da vecchia coppia stabile anche quando litiga; la Cina non emette un vagito perché le serve lo stretto di Hormuz attraverso il quale far passare le petroliere indispensabili a Pechino e non ama l’Iran. Israele ha ottenuto il risultato massimo: ha indotto Trump a far levare i B2 per trentamila chilometri prima di fare un Hiroshima quasi senza spargimento di sangue per comperare tempo: nulla per sempre e son troppi gli interessi in gioco. Non c’è fretta dice Trump, il dominio iraniano sul Medio Oriente è per ora crollato e “a proposito, Vladimir: grazie di essere stato al nostro fianco, siamo un team, pace all’anima dell’Ucraina”. Una giornata più che storica: cambiano le regole, i trattai, le alleanze, le inimicizie.
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