Trump è stato assolto. Il processo per impeachment è chiuso. Niente abuso di potere e nemmeno ostruzione al Congresso. I due capi di imputazione nei confronti del presidente erano stati approvati dalla Camera (a maggioranza democratica) ma sono stati respinti dal Senato (a maggioranza repubblicana) mercoledì scorso. La votazione sull’abuso di potere è finita 52 a 48: solo Mitt Romney, tra i repubblicani, ha considerato Trump colpevole. La seconda votazione, sull’ostruzione al Congresso, è finita 53 a 47.  In questo caso tutti i repubblicani hanno votato a favore del presidente. Il processo era nato dalla rivelazione di una telefonata il presidente ucraino Zelensky e il presidente americano. In quella telefonata Trump chiedeva a Zelensky di svolgere indagini sul suo rivale politico Joe Biden (e su suo figlio Hunter, in passato membro del consiglio di amministrazione di una società ucraina) al fine di incastrarlo e bloccare la sua corsa come candidato per la presidenza. Un vero e proprio ricatto visto che Trump, a questo fine, aveva bloccato lo stanziamento di 300 milioni di dollari di aiuti militari all’Ucraina, già approvati all’unanimità dal Congresso.

Il risultato del processo a Trump era abbastanza scontato, non soltanto perché i repubblicani detengono la maggioranza al Senato, ma anche perché sarebbe stata necessaria una maggioranza di due terzi per condannarlo (cioè 67 senatori): una ulteriore conferma era venuta nei giorni scorsi quando i senatori repubblicani avevano respinto la richiesta dei democratici di interrogare nuovi testimoni. Per la prima volta nella storia, però, un parlamentare ha votato contro il suo presidente in un processo di impeachment. Mitt Romney, senatore dello Utah, ha infatti ritenuto Trump colpevole di «un terribile abuso di fiducia pubblica». Romney è, inoltre, un mormone, esponente di una comunità che nello Utah non è particolarmente tenera con Trump: «Se per un fine di parte dovessi ignorare le prove che sono state presentate e restare indifferente a ciò in cui credo e a ciò che il mio giuramento e la Costituzione mi richiedono – ha confessato nel suo commosso intervento – temo che esporrei la mia persona al biasimo della storia e alla censura della mia coscienza».

Come spiega Mark Leibovich del New York Times «Mitt Romney è in una posizione rara. È alla fine della sua carriera. Non deve candidarsi alle elezioni per altri quattro anni. Era il candidato per la presidenza nel 2012. È ormai, nel partito, un anziano uomo delle istituzioni con la sua autonoma autorevolezza. E ha preso l’ultima posizione solitaria».  Il figlio maggiore di Trump, Donald Trump Jr., ha chiesto su Twitter l’espulsione di Romney dal partito che una volta lo aveva nominato candidato alla presidenza: «Era troppo debole per battere i democratici allora, quindi si unisce a loro adesso. Ora è ufficialmente un membro della resistenza e dovrebbe essere espulso dal Gop». Sempre su Twitter, gli attivisti repubblicani hanno immediatamente avviato un hashtag #RecallRomney. «Il partito repubblicano a Washington ai tempi di Donald Trump – chiarisce Leibovich – è diventato una tenaglia. La lealtà non è mai stata in passato una virtù tanto importante nel partito quanto lo è oggi. La compagine repubblicana si è molto ridotta, per via delle espulsioni nei confronti di chi aveva mostrato ambiguità verso il presidente. E molti repubblicani che hanno rotto con Donald Trump nel 2016 non sono più repubblicani».

Spiegano Stephen Collinson e Caitlin Hu della Cnn: «Il Senato ha stabilito che non c’è niente di sbagliato nel fatto che un presidente usi la sua posizione per costringere un potere straniero a indagare su un rivale politico. E i futuri presidenti potranno rifiutare – come Trump – le citazioni di testimoni e prove nel Congresso».  Nel frattempo i democratici – dopo il pasticcio dei conteggi nei caucus dell’Iowa e il discorso sullo Stato dell’Unione, trasformato da Trump in uno spettacolo trash a suo esclusivo vantaggio – subiscono un’altra dura batosta. «Trump è il vincitore a breve termine – concludono Collinson e Hu – mentre i democratici devono aspettare fino a novembre. Soltanto allora si vedrà se l’immagine di un presidente che agisce come un re corrotto avrà avuto influenza sull’elettorato». La giuria finale, insomma, saranno gli elettori americani. Ma i democratici sapranno scegliere il nome giusto per giocare la sfida finale? Biden sembra già bruciato. Sanders sarebbe lo sfidante perfetto per esaltare Trump. Molti sperano nell’astro nascente Buttigieg. O, alla peggio, nei soldi di Bloomberg.

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