Tsunami sulla Sanità. Lunghe liste d’attesa, carenza di personale infermieristico e medico tanto da dover assumere professionisti da Argentina e Paraguay. Austerità. Sforbiciate continue. Il comparto è definanziato. Depauperato. I pazienti rinunciano alle cure o chi può si rivolge alle strutture private. Il personale sanitario fugge all’estero o sceglie di fare il gettonista. La sanità pubblica da anni viene usata come un bancomat e ora è allo stremo. Eppure le nostre scuole mediche sono di altissimo livello e riconosciute in ambito accademico internazionale.
L’elemento detonante, dopo lo sciopero generale del dicembre scorso del comparto sanitario è stato l’appello accorato, apparso il 2 aprile scorso su «Scienza in rete» di 14 scienziati, tra cui il premio Nobel Giorgio Parisi, con il quale si chiede di non far collassare il servizio sanitario nazionale con un «piano straordinario di finanziamento per evitare che diventi un privilegio per i ricchi». A effetto domino anche le Regioni sono scese in campo, sollecitando l’abrogazione del titolo 1 comma 13 del dl Pnrr, che prevede il taglio di 1,2 miliardi a opere per la sicurezza sismica delle strutture ospedaliere. La conferenza unificata reclama il reintegro dei fondi per evitare il ricorso alla Consulta.

Anche il recente rapporto molto articolato della Corte dei Conti lancia alcuni alert sul sistema sanitario nazionale che pure viene definito «mediamente efficiente ed efficace». I magistrati contabili, presentando al Parlamento la relazione sulla gestione finanziaria dei servizi sanitari regionali per l’esercizio 2022-2023, in 276 pagine hanno affrontato temi molto annosi, evidenziando alcune criticità: il contenimento della spesa pubblica e le lunghe liste d’attesa che incoraggiano sempre più verso strutture specialistiche private al di fuori del Ssn; il grande disavanzo; i debiti degli Enti sanitari; la spesa farmaceutica che ha sforato il tetto programmato; le fonti di finanziamento generate sempre più dall’imposizione fiscale diretta (Irap e addizionale Irpef 26,2%) e indiretta (Iva e accise 61,1%); la carenza del personale che è inferiore del 10% rispetto al 2019 nonostante l’incremento di 328.000 unità; i ricoveri d’urgenza inferiori al 13% del 2019; i divari territoriali nell’erogazione dei Lea (livelli essenziali di assistenza).
Il documento redatto per il Parlamento risulta essere estremamente corposo, come spesso accade per i documenti ufficiali. Ecco in sintesi gli allarmi che lancia.

La spesa sanitaria

Una sgradita conferma, prima di tutto: anche per il 2022 la spesa sanitaria pubblica italiana è risultata ampiamente inferiore a quella dei principali partner europei, sia in valore pro capite che in percentuale di Pil. Per quanto riguarda la spesa pro capite, a parità di potere d’acquisto, in Italia è stata pari, nel 2022, a 3.255 dollari, inferiore del 53% a quella della Germania (6.930 dollari), del 42% rispetto a quella della Francia (5.622 dollari), e del 27,3% all’analoga spesa del Regno Unito.
Pesa inevitabilmente il fardello costituito dal pesante carico di interessi gravanti sull’enorme mole di debito pubblico. Nel 2022 la spesa sanitaria è stata pari a 131,1 miliardi, in crescita del 2,9% rispetto all’anno precedente; si tratta di un valore inferiore sia ai tassi di variazione del biennio “pandemico” 2020/2021, (rispettivamente, +6,1% e +3,9%), sia in relazione all’incidenza sul Pil, che si ridimensiona dal 7,1% (nel 2021) al 6,9% del prodotto, a causa anche della positiva performance dell’economia registrata nel 2022 (+3,7% in volume).

I dati sul servizio sanitario nazionale pubblicati con la Nota di aggiornamento al Def (documento di economia e finanza) 2023, del settembre scorso, presentano un valore di spesa pari a 134,7 miliardi di euro, inferiore all’anno scorso quindi di 1,3 miliardi rispetto alle stime contenute nel Def 2023 trasmesso al Parlamento in aprile (136,0 mld), con una crescita percentuale rivista al ribasso dal 3,8 al 2,8%.
Altro aspetto importante di cui tener conto è che sebbene nel 2023, rispetto al 2019, il finanziamento del servizio sanitario nazionale sia cresciuto del 12%, con un incremento medio annuo del 3% e la spesa del 16,5%, l’incidenza dei rispettivi aggregati sul totale delle entrate tributarie e delle spese correnti (al netto degli interessi) risulta percentualmente in calo. L’incidenza del finanziamento del servizio sanitario nazionale, pari, nel 2023, al 21,3% delle entrate tributarie, risulta inferiore di quasi un punto percentuale rispetto al 2019 (22,1%). Mentre in misura minore si osserva un decremento anche dal lato delle uscite, nel quale la spesa sanitaria rispetto a quella corrente primaria della PA registra una lieve flessione, essendo stata pari, nel 2023, al 15,3%, con un -0,2% rispetto a quella del 2019 (15,5%).

Spesa sanitaria negli indicatori macroeconomici OCSE – Anni 2015-2022

I divari territoriali nell’erogazione dei Lea

La valutazione dei Lea (Livelli essenziali di assistenza) delle Regioni risale al periodo prima della pandemia (2012-2019), a causa della indisponibilità di dati aggiornati e recenti causati anche dall’epidemia mondiale della Sars-Cov-2, essendo cambiati anche i parametri di valutazione (prevenzione, assistenza distrettuale, assistenza ospedaliera). Le prestazioni incluse nei Lea sono fondamentali: pronto soccorso, ricovero ordinario, day surgery, day hospital, attività trasfusionale, riabilitazione e lungo degenza post acuzie, attività di trapianto di cellule, organi e tessuti e centri antiveleno.
Il fine di questo corposo studio è volto a capire se i divari territoriali Nord-Mezzogiorno siano andati riducendosi, e se, quindi, i programmi operativi di riorganizzazione, riqualificazione, e potenziamento dei servizi sanitari regionali perseguiti con i Piani di rientro, che, oltre a Piemonte, Liguria, Lazio, hanno nel tempo coinvolto pressoché tutte le Regioni meridionali (ad eccezione della Basilicata), oltre a ridurre i deficit finanziari, si siano accompagnati anche a un miglioramento nella erogazione dei servizi sanitari.
Sempre tra il 2012-2019 si riscontra un generale miglioramento nel numero delle Regioni del Mezzogiorno nell’erogazione dei Lea, visto che quelle considerate inadempienti, con punteggio quindi al di sotto del valore minimo (160) scendono da 6 (Abruzzo, Puglia, Sicilia, Campania, Molise e Calabria) a 2 (Molise e Calabria).

L’impatto del Covid

Le maggiori carenze riscontrate durante la pandemia si sono concentrate nell’assistenza distrettuale e territoriale. Un meccanismo di punteggi (finalizzato al riparto della quota premiale del finanziamento) che consentiva la compensazione tra le diverse aree, spingeva a dilazionare l’investimento in questi ambiti più difficili da affrontare sotto il profilo organizzativo. Ma anche l’isolamento dell’area prevenzione appare opportuna. I magistrati contabili hanno evidenziato come all’area della prevenzione insistano gran parte di indicatori sui quali a livello internazionale ed europeo si giudica la nostra Sanità.

Finanziamento LEA (ante mobilità)

Il monitoraggio della spesa farmaceutica

I magistrati hanno evidenziato che la legge di bilancio 2024 ha infatti rideterminato i tetti alla spesa farmaceutica, incrementando, a partire da quest’anno, di due decimi di punto quello per gli acquisti diretti (dal 7,85 all’8,05% del fondo sanitario nazionale), e riducendo proporzionalmente quello per la convenzionata (dal 7 al 6,8%), lasciando quindi invariata l’incidenza complessiva programmata delle risorse sul Fondo sanitario nazionale, pari al 14,85%. Infatti nel caso della farmaceutica convenzionata, si nota un livello di spesa annuale decrescente (da 8,7 a 8 miliardi) e inferiore al relativo tetto, mentre gli acquisti diretti sono cresciuti costantemente (da 17,8 a 21,4 miliardi), determinando superamenti costanti della spesa programmata, in conseguenza di quest’ultima componente dei consumi farmaceutici, la spesa totale al netto del payback è cresciuta da 17,8 a 21,4 miliardi. Nel medesimo periodo, infine, la spesa totale privata a carico del cittadino è aumentata da 6,9 a 8,4 miliardi (+22,7%).
Attraverso la nostra tessera sanitaria il Mef ha elaborato il monitoraggio della spesa sanitaria della spesa farmaceutica convenzionata pro capite. Non è un gioco di parole. Infatti risulta nella media nazionale pari a 134 euro, ma il cui profilo, al crescere dell’età sale esponenzialmente (fino a 4 volte) tra i 60 e gli 80 anni, per poi ridiscendere. Disgregando il dato per aree geografiche, la spesa farmaceutica convenzionata del Nord Est si colloca al di sotto della media nazionale di quasi il 20%, mentre il Mezzogiorno spende in proporzione il 15,5% in più, soprattutto in Puglia, Basilicata, Calabria e Sardegna. Mentre se guardiamo alla spesa pro capite per assistenza specialistica convenzionata la situazione si ribalta completamente: il Nord Est che spende il 15% in più della media, e le Isole il 18% in meno.
Per quanto riguarda la spesa farmaceutica complessiva, tutte le Regioni, tranne la Valle d’Aosta hanno superato il tetto programmato (14,85% del fondo sanitario nazionale).

Il Fondo Sanitario Nazionale 

Il finanziamento del servizio sanitario nazionale è salito a 125,98 miliardi nel 2022, al netto dei fondi per l’acquisto dei medicinali innovativi (pari a 764 milioni di euro), risulta pari a 125,22 miliardi. Invece per la programmazione del triennio 2023-2025, la Legge di bilancio 2023 prevede che il livello del fabbisogno sanitario nazionale standard a cui concorre lo Stato, sia incrementato di 2,15 miliardi di euro per l’anno 2023, 2,3 miliardi di euro per l’anno 2024 e 2,6 miliardi di euro a decorrere dall’anno 2025.
Il finanziamento sanitario così determinato non considera le risorse destinate per l’acquisto dei medicinali innovativi e per i contratti di formazione specialistica dei medici.
Occorre, inoltre, considerare ulteriori interventi legislativi che hanno rideterminato l’ammontare del finanziamento corrente del Servizio sanitario nazionale per l’anno 2023; in particolare: 5 milioni in borse di studio per i medici di medicina generale che partecipano ai corsi di formazione; ridotto il valore complessivo del fabbisogno sanitario nazionale standard di 35,8 milioni di euro; 170 milioni per indennità di pronto soccorso in favore della dirigenza medica e del personale del comparto sanità.
Per il 2023, il finanziamento è di 128,87 miliardi di euro, che, al netto dei fondi per l’acquisto dei medicinali innovativi (pari a 864 milioni di euro), risulta pari a 128 miliardi. La manovra finanziaria per il prossimo triennio 2024-2026 prevede un incremento delle risorse per il fabbisogno sanitario nazionale standard di 3 miliardi di euro per il 2024, 4 miliardi per il 2025 e 4,2 miliardi per il 2026, portando così il fabbisogno sanitario, tenendo conto anche degli altri interventi normativi a circa 134,1 miliardi di euro nel 2024, 135,39 miliardi di euro nel 2025 e 136 miliardi di euro nel 2026.
Le fonti di finanziamento derivano per l’87,3% dall’imposizione fiscale diretta ed indiretta per l’1,6% dai ricavi ed entrate proprie convenzionali delle Aziende sanitarie, per l’8,5% dalla partecipazione delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome e, infine, per il 2,6% dalla voce relativa al Fondo sanitario nazionale. L’imposizione fiscale, quindi, costituisce la parte preponderante delle fonti che finanziano il Fondo sanitario nazionale: la componente diretta, rappresentata dalle risorse derivanti dall’Irap e dall’addizionale Irpef, incide per circa il 26,2% (Irap 18,1% e addizionale Irpef 8,1%), mentre la componente indiretta (Iva e accise) è pari al 61,1%. Così le risorse generate dall’imposizione fiscale evidenziano un trend di crescita, passando da 92,5 miliardi del 2014 a 107,9 miliardi del 2023.

Riparto del Fondo Sanitario Nazionale

Le risorse ripartite per l’anno 2023 sono così distribuite: il 98,5% di quelle disponibili sulla base dei criteri della popolazione residente e della frequenza dei consumi sanitari per età; lo 0,75% in base al tasso di mortalità della popolazione (meno di 75 anni); e uno 0,75% in base al dato complessivo risultante dagli indicatori utilizzati per definire particolari situazioni territoriali che impattano sui bisogni sanitari. Quindi la quota di finanziamento indistinto per il 2023, al netto di quelle finalizzate è di 120.736,05 milioni di euro. Questa è ripartita attribuendo: 118.925,00 milioni (98,5%) della popolazione residente e della frequenza dei consumi sanitari per età, 905,52 mln (0,75%) in base al tasso di mortalità della popolazione (< 75 anni) e 905,52 mln (0,75%) in base al dato complessivo risultante dagli indicatori utilizzati per definire particolari situazioni territoriali che impattano sui bisogni sanitari.
Secondo i magistrati contabili questo consente di determinare il fabbisogno sanitario standard regionale e di conseguenza di ripartire il Fondo sanitario nazionale tra le Regioni, tranne quelle a statuto speciale (a eccezione della Sicilia, in cui c’è una compartecipazione dello Stato) che provvedono direttamente al finanziamento del Servizio sanitario regionale.
La Corte dei Conti in questo documento più volte rimarca sul contenimento delle liste d’attesa e sul rinnovo dei contratti della Sanità. Un monito dunque che non deve essere più disatteso.

Anna Germoni

Autore