Per l’Ucraina è arrivato il momento della resa dei conti ma non è affatto detto che il risultato sia quello che tutti danno per ovvio, cioè che la guerra ormai l’ha vinta Putin che può riversare altri 170.000 uomini appena messi in addestramento mentre Volodymyr Zelensky non ha questa possibilità perché, come lui stesso ha detto ieri, “per ogni soldato che noi mandiamo al fronte occorrono altri sei uomini che producano reddito per farlo vivere e combattere”.

Si dovrebbe ripetere come sempre che la partita è in mano agli Stati Uniti dove Biden si trova di fronte al niet dei repubblicani ormai tutti trumpiani e che fra pochi giorni con l’ultimo pacco di Natale finiranno i rifornimenti in armi e denaro. Ma questa è soltanto la superficie. C’è stato un incontro ai vertici sia dei servizi segreti che del personale politico ed è un vertice fluttuante che si sposta da Doha a Varsavia, a Kyiv e altri luoghi segreti in cui discutono senza lacrime sul ciglio i capi dei servizi segreti e pianificatori militari ucraini, americani, inglesi, israeliani, nonché iraniani e quelli di Hamas.

Mai come oggi la politica estera e il fronte delle guerre sono stati omogenei e interdipendenti al punto che nessuno si sogna più di sbrogliare la matassa risolvendo un caso regionale alla volta. Gli americani non hanno rinunciato all’Ucraina e anche se Donald Trump entrasse alla Casa Bianca il 20 gennaio del 2025 c’è ancora tutto il tempo perché le strategie dei due fronti siano modificate. Gli americani – intendiamo i vertici del dipartimento di Stato, Cia, Dia, vertici militari e pianificatori degli armamenti – sono in stretto collegamento con il ministero degli Esteri del Regno Unito e i valutatori del Mi6 chiusi nel loro castello sulle rive del Tamigi.

Ucraina Russia: Il rischio dell’arma atomica

Per quanto riguarda il futuro dell’Ucraina, una e una sola è la domanda cui tutti tentano di rispondere: Putin userebbe davvero l’arma atomica se dovesse perdere la guerra in Ucraina? Ovviamente nessuno conosce per certo la risposta certa, ma dai Think-Tank ne arriva una molto grave secondo cui Putin, se davvero dovesse arrivare al lancio di un’arma nucleare, non si limiterebbe a far esplodere una piccola bomba “tattica” (cioè più potente e devastante di quella americana su Hiroshima nel 1945) perché una tale arma avrebbe soltanto il potere di far scattare le contromisure militari e nucleari della Nato: avrebbe soltanto l’effetto di una provocazione cui la Nato, come ha già più volte annunciato sia il segretario generale Stoltenberg che il Presidente Biden, risponderebbe in maniera corrispondente, cioè nucleare.

Gli analisti del pensiero di Putin e della dottrina militare russa adesso dicono che nel caso in cui Putin decidesse di passare all’atomica lo farebbe colpendo direttamente i Paesi della Nato, mettendo gli americani di fronte al fatto compiuto e lasciando loro il diritto di scegliere se restarsene a casa mollando l’Europa o passare al duello intercontinentale con armi strategiche in cui si gioca alla fine del mondo come nel “Dottor Stranamore” di Kubrick.

Questa linea di condotta russa non è nuova perché corrisponde a quella spiegata ogni anno durante la Guerra Fredda, ma ha di nuovo la totale indifferenza ostentata sia da Putin che dal suo eterno vice Medvedev, di fronte al terrore dell’olocausto nucleare. E Putin non ha bisogno di essere sconfitto in Ucraina per valutare una tale soluzione: gli basta non aver vinto, come aveva programmato.

La conferenza stampa di Zelensky

Tre giorni fa Zelensky ha tenuto una conferenza stampa davanti ai giornalisti di tutto il mondo dove per l’Italia si sono presentati soltanto i colleghi della “Ragione”, i quali raccontano di essere stati intervistati dai colleghi ucraini curiosi di tanta vistosa assenza delle grandi testate.

Durante quell’incontro, Zelensky ha detto che l’industria ucraina fornirà nel prossimo anno un milione di droni di eccellente fattura e vincenti su quelli iraniani usati dai russi. Ha detto che il suo Paese non si arrenderà mai e che su questo sono tutti d’accordo. Poi ha sottolineato l’impreparazione totale delle forze russe che hanno schierato in prima linea galeotti e malati mentali, mafiosi e mercenari perché erano totalmente incapaci di pensare a una risposta militare ucraina tanto forte.

Ha ammesso che la famosa controffensiva d’agosto ha consentito pochi progressi, ma ha sottolineato che il punto è un altro: sono i russi a restare a metà strada dai loro obiettivi e che questo stallo comincia a pesare moltissimo sull’opinione pubblica russa.

Gli affari economici dietro la guerra in Ucraina

La Russia per ora non vince la guerra, ma nemmeno la perde mentre la macelleria continua a vantaggio di Mosca perché l’Armata Rossa può rimpiazzare facilmente truppa e rifornimenti. Inoltre le condizioni economiche russe sono discrete, ma chi fa affari con questa guerra sono i cinesi. La Cina per bocca del suo Presidente nel recente incontro di San Francisco ha garantito che non fornirà a Mosca armi e soldati. Ma fornisce una quantità gigantesca di camion e di automobili, computer ed elettronica che la Russia non ha mai prodotto. La Russia paga in petrolio la Cina, salvo quello che esporta nell’India di Modi, che è ormai la più grande pompa di benzina del mondo.

Ed eccoci all’aspetto affaristico di questa guerra abbandonata dall’attenzione pubblica che si è fatta subito distrarre dal Medio Oriente così come prima dell’Ucraina era concentrata soltanto sul Covid. Le grandi fabbriche occidentali di armi, non solo americane ma anche europee, giapponesi, coreane, australiane e canadesi. Il teatro di guerra che investe Israele, Gaza, West Bank, Egitto, Sudan, Libano e Iran, è formato da una eterogenea clientela affamata di approvvigionamenti dai suoi sponsor incrociati.

Le variabili dei diversi fronti sono troppe per essere calcolate anche dall’intelligenza artificiale, di cui l’Ucraina è stata ampiamente dotata da Elon Musk prima che offrisse la sua assistenza ai russi. La guerra, dunque, continua ma è come l’embrione di un mostro di cui nessuno conosce la data di nascita né le sembianze.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.