È negli ariosi uffici di quello che è indubbiamente il palazzo più pregevole tra i ministeri romani, Palazzo Piacentini, che incontriamo Adolfo Urso. Qui il futuro scorre sulla storia. I marmi, i mosaici, il liberty incorniciano le meeting room dove è stato messo a punto lo Scaleup Act. Entrando si è sopraffatti dalla Carta del lavoro rappresentata dalla gigantesca vetrata, dieci metri per sette e mezzo, realizzata nel1932 da Mario Sironi. Tra i display degli uffici e le lavagne elettroniche campeggiano sculture e arazzi. Alle pareti si alternano le visioni del futurista Depero e dall’altra parte politica, i paesaggi di Francesco Trombadori. Il Ministero delle Imprese e del Made in Italy, d’ora in poi Mimi, riassume tutte le sfumature dell’eccellenza italiana. Adolfo Urso, che da 28 mesi ne è titolare, traccia per noi un bilancio e una prospettiva.

Le crisi industriali si succedono, la produzione industriale non decolla. Quali politiche sta mettendo in campo il MIMIT per incentivare le imprese?
«La produzione industriale ha ripreso a crescere in dicembre anche se sconta la recessione della Germania. Per darle alcuni numeri nel 2023 la Germania ha registrato un decremento del PIL dello -0,3%, mentre nel 2024 dello -0,2. In Italia invece registra una crescita del +0,7% nel 2023 e +0,5 per lo scorso anno. Negli ultimi 4 anni la produzione in Germania si è ridotta del 7,7%, in Italia dell’1%. Si tratta di un problema europeo che ha ricadute anche in Italia e che si risolve in Europa, cambiando la politica industriale della UE come stiamo facendo proprio su iniziativa italiana».

E le crisi industriali?
«I tavoli di crisi erano 180 cinque anni fa, ora sono 34. In questi due anni abbiamo affrontato con successo tutte le vertenze arrivate al Ministero, individuando sempre soluzioni industriali e salvaguardando l’occupazione. Nessuna azienda giunta al tavolo del Mimit è stata chiusa: ogni crisi è stata trasformata in un’opportunità di rilancio. Abbiamo risolto crisi significative come Wartsila a Trieste, Marelli di Crevalcore, Fos di Battipaglia, Whirlpool EMEA di Napoli, Fimer in Toscana, Industria Italiana Autobus, ora Menarini, di Flumeri e Bologna. Siamo riusciti a evitare i licenziamenti collettivi che erano previsti per Trasnova, Berco, Abramo Customer Service, Fedrigoni. E abbiamo portato a soluzione crisi storiche, come il caso di Termini Imerese che dopo 14 anni di cassa integrazione ora ha un futuro industriale grazie a un player globale, e l’acciaieria di Piombino, che dopo 10 anni di cassa integrazione vede finalmente una prospettiva con due grandi investimenti internazionali che rilanceranno la produzione. Lo stesso faremo con l’ex Ilva».

Ilva, appunto, il simbolo della decadenza industriale italiana. Come finirà?
«Abbiamo assunto il controllo dell’azienda il 27 febbraio dello scorso anno, avviando il commissariamento quando restavano solo pochi giorni di autonomia prima della definitiva interruzione degli impianti per mancanza di materie prime. In pochi mesi siamo riusciti a ripristinare la piena operatività dell’altoforno 4, che era ormai prossimo alla sospensione, abbiamo riattivato un altro altoforno e, con i commissari, si stanno portando avanti le iniziative necessarie affinché un terzo impianto possa tornare in funzione nei prossimi mesi. Abbiamo inoltre garantito sostegno alle imprese dell’indotto attraverso una procedura innovativa ed efficace, così come avvenuto per i cittadini del rione Tamburi di Taranto, e realizzato un significativo accordo sindacale per il rinnovo della cassa integrazione. Nel frattempo, dopo anni di attesa, abbiamo dato vita al Tecnopolo di Taranto, destinato a guidare la transizione ambientale e la decarbonizzazione. Tra pochi giorni, infine, si concluderà la fase di rilancio con l’assegnazione dell’azienda a un player internazionale, dopo che alla gara competitiva hanno partecipato 3 grandi gruppi internazionali e sono pervenute, in tutto, dieci offerte. Tutto questo in un solo anno: un record in Europa».

La preoccupano i dazi di Trump?
«Mi preoccupa la lentezza della macchina burocratica europea nell’adeguarsi ai tempi nuovi. Occorre muoversi in fretta, non limitarsi a reagire ma ad agire, con una visione strategica e non con misure tampone, con la politica e non con la burocrazia. Serve da subito un’azione tempestiva, con la velocità d’intervento che mostrano gli altri attori. La priorità è quella di evitare una guerra commerciale, che sarebbe devastante per ciascuno di noi. Non si può dividere l’Occidente mentre dobbiamo affrontare la guerra della Russia in Ucraina e la sfida competitiva della Cina; anzi, è necessario condividere scelte comuni».

Come li affronteremo, in chiave europea?
«Ancora una volta sarà la leadership di Giorgia Meloni ad assicurare coesione e unità di intenti della nostra Unione Europea. E nel contempo a garantire che i canali del confronto si attivino subito sui giusti binari delle relazioni transatlantiche. L’Occidente deve unirsi e non dividersi, con una politica energetica, industriale e commerciale condivisa, in grado di rispondere in modo assertivo alle sfide di altri attori globali».

Come definirebbe l’andamento complessivo del Made in Italy nel mondo?
«Ottimo se confrontato a quello degli altri Paesi europei. Nei primi 10 mesi del 2024 è migliorata ancora la nostra bilancia commerciale con un attivo di 45 miliardi e abbiamo scavalcato per export Giappone e Corea del Sud, piazzandoci al quarto posto come Paese esportatore nella classifica mondiale».

E per gli investimenti?
«Sempre nel 2024, oltre 35 miliardi di investimenti esteri greenfield in Italia, dieci in più di Germania e Francia. Non era mai accaduto. Altrettanto positiva la crescita della Borsa italiana e degli investimenti in titoli di Stato. Capitali e imprese hanno sempre più fiducia nell’Italia».

Quella di Draghi l’abbiamo vista. Oggi servirebbe un’agenda Urso per l’Europa: rivitalizzare dei distretti industriali di qualità e eccellenza per riportare investimenti in Italia. Da dove si può partire?
«Esiste un’agenda Giorgia per l’Europa, sulla Difesa come sull’Industria. Che indica la strada da perseguire. Non esiste più l’asse Franco-Tedesco. È a Roma la nuova calamita d’Europa».

Serve una revisione complessiva del Green Deal?
«Assolutamente sì. Non servono misure tampone ma una revisione complessiva e strategica che tenga conto anche della necessaria autonomia strategica dell’Europa nella twin transition, digitale e green. Tanto più a fronte della sfida competitiva degli USA».

Come deve cambiare l’approccio dell’Unione Europea alle politiche per l’automotive? Lo stop alle multe non basta…
«La revisione del sistema delle multe – che sono una vera follia! – è assolutamente urgente e necessaria ma non sufficiente. Occorre fare subito una revisione completa, con un piano automotive europeo, come sollecita il nostro non-paper sostenuto da 15 Paesi e dalle associazioni industriali di Italia, Francia e Germania. Le misure-tampone rinviano il problema, non lo risolvono. L’elefante è nella stanza e da lungo tempo, non si può nasconderlo dietro l’armadio».

Sarà rivisto anche il meccanismo CBAM, che comporta l’applicazione di un prezzo per le emissioni incorporate nei prodotti di alcune tipologie di industrie?
«Assolutamente sì, le nostre proposte sono già nella Bussola della Competitività presentata dalla Commissione nei giorni scorso. Ma dobbiamo insistere. Abbiamo chiesto alla presidenza di turno del Consiglio Europeo di inserire un punto all’ordine del giorno nell’agenda del prossimo Consiglio Competitività del 6 marzo».

Pomigliano e Melfi ripartiranno?
«Sì, il Piano Italia, definito al tavolo Stellantis per il rilancio di tutti gli stabilimenti del Gruppo nel nostro Paese, prevede l’installazione a Pomigliano della nuova piattaforma per le citycar, un elemento essenziale per la nostra filiera, e a Melfi la produzione di sette nuovi modelli, tra elettrici e ibridi. L’Italia torna finalmente al centro delle strategie aziendali: solo nel 2025 sono previsti 2 miliardi di investimenti nei siti produttivi e 6 miliardi di acquisti da fornitori italiani, interamente finanziati con risorse proprie».

Per le Pmi ha parlato di una nuova legge che agevoli il passaggio generazionale. A che punto è?
«È nella Legge annuale sulle PMI, approvata dal Consiglio dei Ministri poche settimane fa e che ora inizia il suo iter in Parlamento. La Legge annuale sulle PMI era prevista nello Statuto delle Imprese varato dal governo Berlusconi nel 2011. Nessun governo successivo l’aveva mai realizzata. Lo abbiamo fatto noi perché noi crediamo al valore delle PMI, asse portante della nostra economia produttiva».

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.