L’idea del sacrificio accompagna, in modo indissolubile, le tragedie che solcano la vita degli uomini. Lo ricordiamo tutti il colonnato di San Pietro sotto la pioggia con il pontefice che invocava la misericordia divina per il mondo in lutto. Sacrificio, espiazione, malattia, guarigione. Anche la più laica e la più agnostica delle società, nel momento della sofferenza, non riesce a liberarsi dalla paura del contrappasso, non sa accantonare il timore di essere rimasta vittima di una vendetta consumata dalla Storia o da altri uomini o dal destino o dalla natura vilipesa. Per darsi coraggio e per non perdere la speranza ecco che spunta, sempre e ovunque, la convinzione che qualcuno abbia tradito, che qualcuno abbia rotto il patto fragile che assicura il benessere spingendo tutti verso il baratro della malattia o della disgrazia.

L’eretico deve essere scovato e processato. Se necessario bruciato, affinché l’equilibrio sia restaurato e la colpa espiata. Ovviamente ogni civiltà ha i propri roghi e le proprie Inquisizioni, li aggiorna, ma non se ne priva. L’Italia della pandemia ha, oggi, un urgente e insopprimibile bisogno di scovare gli untori della seconda ondata, di addossare a qualcuno le migliaia di morti di questi ultimi due mesi e dei prossimi. Difficile dar la colpa ai milioni di italiani che, d’estate, messa da parte ogni prudenza, sono corsi in vacanza, o ai giovani che a frotte hanno riempito spiagge e ritrovi senza alcuna attenzione. Molto più facile procurarsi qualche capro espiatorio da immolare pubblicamente sull’altare della sete collettiva di autoassoluzione dai propri errori. «Aronne poserà le mani sul capo del capro vivo, confesserà sopra di esso tutte le iniquità degli Israeliti, tutte le loro trasgressioni, tutti i loro peccati e li riverserà sulla testa del capro; poi, per mano di un uomo incaricato di ciò, lo manderà via nel deserto. Quel capro, portandosi addosso tutte le loro iniquità in una regione solitaria, sarà lasciato andare nel deserto» (Levitico 16). Certo l’indicazione aveva le stimmate di una, come dire, non trascurabile autorevolezza (Dio) e si rivolgeva a un uomo non privo di grande coraggio nell’affrontare le avversità (Mosè).

Questa volta il destino del capro espiatorio sembra toccato in sorte a due esponenti di primo piano della sanità italiana. Ormai non passa giorno senza che le scellerate scelte agostane dei connazionali non siano imputate al professor Zangrillo e alla sua infelice sortita con cui proclamava la morte clinica del Covid-19. È divenuta, ormai, la stucchevole premessa di ogni sortita mediatica di colleghi più o meno prestigiosi e di commentatori più o meno indipendenti. Giornali e talk show straboccano da settimane di pesanti j’accuse contro il medico del San Raffaele, additato senza tentennamenti come l’unico, scellerato responsabile della seconda ondata di contagi. Quasi che un Paese che straripa di Comitati, Istituti, Consigli, Task force fosse stato abbindolato da un pifferaio magico della sanità lombarda e condotto in massa e danzante verso lo strapiombo della seconda epidemia.

Una gogna e un processo sommario insopportabile a vedersi e che, travisando anche la portata di quella affermazione (il virus era, in effetti, uscito dalle corsie degli ospedali in quei giorni), punta a nascondere le gravissime responsabilità di quanti non hanno saputo profittare della tregua pandemica (dichiarata da Zangrillo) per attrezzarsi al peggio. Il potere pubblico era tutto indaffarato a scegliere la mobilità a rotelle dei banchi di scuola e far scorta di insegnanti e si è letteralmente dimenticato di rafforzare in modo credibile le strutture sanitarie (inutile comprare a peso d’oro ventilatori polmonari per poi spedirli dove mancano reparti, medici e infermieri).

Trovata la causa del male che ci affligge, occorreva rintracciare anche le ragioni della guarigione che tarda a venire. Mentre le società farmaceutiche di mezzo mondo si affannano a farsi rilasciare brevetti e autorizzazioni per la commercializzazione planetaria di vaccini preparati e testati in fretta e furia in qualche mese, il professor Crisanti ha messo in guardia contro una vaccinazione di massa con preparati così poco affidabili e ancora poco sperimentati nella loro efficacia e, soprattutto, nei loro effetti collaterali. È vero che gran parte della popolazione italiana è stata vaccinata negli ultimi decenni, ma ciò è avvenuto adoperando prodotti messi in circolazione da lungo tempo e, soprattutto, avviene gradualmente suddividendo il Paese per fasce di età. Non si vede cosa ci sia di strano o di eretico nell’invito del professor Crisanti alla prudenza quando si annuncia la vaccinazione praticamente simultanea di decine di milioni di italiani di ogni età in pochi mesi e senza che si sia chiarito il mistero degli asintomatici.

È in corso una mattanza mediatica per Crisanti. Una vera e propria fucilazione a cielo aperto. Il reprobo – che già aveva commesso l’errore di segnalare l’inaffidabilità dei dati sui contagi forniti dalle Regioni meritandosi l’accusa di essere diventato un complottista su uno dei principali quotidiani nazionali – non si è accorto che stava lacerando il velo della speranza, che stava minando il rapporto di fiducia che ceti politici e santuari scientifici, in gran parte usurati dalle gravi inefficienze di questi mesi, stanno tentando di ripristinare al motto del «siamo in fila per comprare i vaccini».

Si badi bene: prospettare l’idea salvifica di un vaccino da dispensare a tutti ha ricadute politiche e sociali enormi, lo aveva capito anche Trump. Dire alla popolazione che il Potere detiene nelle proprie mani l’arma con cui sfuggire alla morte e sottrarsi a qualsivoglia controllo democratico sulla sua distribuzione (allo stato, il Parlamento ne è fuori completamente) per affidarla a un commissario governativo rappresenta – sotto ogni profilo – il più grave attacco su larga scala che sia stato mai portato alla libertà e alla dignità delle persone nella vita repubblicana. Non importa la qualità o la moralità delle persone che governano questi processi.

La democrazia prescinde da questi dettagli di poco conto e si affida interamente, per evitare la tentazione dei demiurghi, alle sole regole. Un’armata di volenterosi non offre alcuna garanzia e la promessa di un vaccino “comunque” è un pericolo palese per la salute e la libertà dei cittadini. Il buon Crisanti non ha compreso quale nervo scoperto del Leviathan è andato a urtare e, ora, gli tocca in sorte un pezzo di deserto.