E di nuovo è Vance, l’uomo da tenere d’occhio, il grande intessitore, “inviato” prima in Vaticano, per ricucire i rapporti con il Papa e la Curia romana, con la “scusa” della visita da devoto. Poi in India, dove ha passato un sereno pomeriggio passeggiando per giardini da Mille e una notte insieme alla moglie, non a caso pure lei di origini indiane e, dunque, considerata, quasi una di casa.

Diplomazia parallela by Vance

Ma dietro a tanta disinvolta e allegra “normalità”, oltre agli inginocchiamenti in San Pietro e all’incontro nel subcontinente, trasformato in sala giochi, si nasconde, in realtà un piano ben definito di diplomazia parallela che segue il tradizionale e consolidato motto, tutto made in USA, del “follow the money”. Tre, perlomeno, sono gli elementi sul tavolo in tema di geopolitica e affari: la ridefinizione di un rapporto con l’Europa, che privilegia i rapporti uno a uno, con le nazioni più vicine e fedeli, Italia in testa e altro paese che con l’India ha forti rapporti diplomatici e commerciali.

L’appoggio a Parolin?

Poi, la ripresa di un lavoro di sponda con la diplomazia vaticana, per far fronte alle crisi globali, a partire dalla guerra in Ucraina. E da qui nasce il faccia a faccia Trump-Zelensky in occasione dei funerali del Papa, favorito, come dicono i meglio informati, dal Cardinale Parolin. E su questo fronte, a voler proprio pensar male, non sarebbe neanche da escludere un endorsement americano per il Segretario di Stato vaticano in occasione dell’imminente Conclave.

L’asse anti Cina con l’India

Ma, si sa, solo lo Spirito Santo ha in mano le vere sorti della Chiesa e per quanto sia convinta la fede di Vance ancora non può puntare a tanto. Allo stesso modo, gli interessi americani, per quanto ambiziosi, non possono governare fino in fondo le dinamiche millenarie e precluse ai più che si scatenano quando viene proclamato l’extra omnes. Infine, il terzo motivo del dinamismo vance-iano è da inquadrare nel riavvicinamento proprio dell’India agli Stati Uniti, con relativi contratti miliardari nel settore hi tech al seguito. La frizione con la Cina resa ancor più complessa dai dazi di Trump ha reso la distanza con il colosso asiatico una voragine. All’interno della quale si è tuffata, con scaltrezza e tempismo proprio l’India.

Favorita certamente dall’appartenenza a quella anglosfera di memoria coloniale che oggi può essere rispolverata nel piano di rilancio del subcontinente che Modi persegue ormai da anni sistematicamente. E la strategia di riposizionamento, non solo identitario ma anche commerciale e come superpotenza locale dell’India, calza a pennello nella visione geopolitica dei MAGA. Stessa “famiglia” conservatrice, stesse relazioni di vicinanza con un club di paesi in sintonia con la visione del mondo nuovo immaginato dall’amministrazione americana, stesso nemico comune, la Cina. Ed ecco dunque il perché dell’ombrello americano. Con una reciproca soddisfazione, un riconoscimento tra alleati, la possibilità dell’America di poter continuare ad essere il vero player anche in Asia e tanti tanti dollari sul tavolo.