Ci vogliono zittire e poi schiacciare, questo è il vero scopo delle loro riforme, come quella sulla separazione delle carriere. Caro Csm aiutaci tu. Pare un’invocazione di aiuto, la richiesta di una pratica a tutela della corporazione avanzata da Anm, il sindacato delle toghe, all’organo di governo della magistratura. Rivendicano come sempre “autonomia e indipendenza” e dimenticano l’altro valore tutelato dalla Costituzione, l’imparzialità.

Lo ricorda loro il ministro Carlo Nordio, in un’intervista al Corriere in cui irride gli “slogan folcloristici” di certe dichiarazioni di guerra. Ma è scontro quotidiano ormai, colpo su colpo. Si era appena saputo della richiesta di apertura di una procedura nei confronti del segretario di Magistratura Democratica da parte di due consigliere laiche del Csm, Isabella Bertolini e Claudia Eccher, che l’Anm è partita lancia in resta. Un sindacato delle toghe particolarmente aggressivo, che anticipa al 15 dicembre l’assemblea generale straordinaria prevista per gennaio, che si lamenta con l’organo di governo della magistratura e chiede al Csm una pratica a tutela contro il mondo politico di area governativa che vorrebbe ridurre al silenzio i giudici per assoggettarli al proprio potere. E sgancia tre bombe.

Le tre bombe del sindacato delle toghe

La prima: le reazioni politiche ai provvedimenti sull’immigrazione non sarebbero critiche sui contenuti, ma pura aggressione, anche sul piano personale, ai singoli giudici. La seconda e la terza sono singolari, da parte di chi rivendica come vessillo di democrazia la separazione tra i poteri. Perché si considera l’emendamento di FdI sulla possibilità di spostare la competenza sui rimpatri dai tribunali specializzati alle corti d’appello come un vero tentativo di assoggettare le toghe al governo, quasi come se ci fossero magistrati di serie A e di serie B. E poi viene agitata nel documento dell’Anm la vera bestia nera delle toghe, la riforma sulla separazione delle carriere tra giudici e avvocati dell’accusa. Interviene su questo punto, considerato la vera porta d’ingresso per portare il pm schiacciato sotto il tallone del guardasigilli, anche il presidente Giuseppe Santalucia. Al quale dà fastidio il fatto che questa riforma possa portare il nome di “riforma Falcone”, per ricordare che il giudice ucciso dalla mafia era un forte sostenitore della separazione delle carriere, soprattutto dopo l’introduzione anche in Italia nel 1989 del sistema processuale di tipo accusatorio. Erano altri tempi, dice Santalucia, ricordando che il giudice siciliano è morto nel 1992. Proprio dopo l’entrata in vigore della riforma in cui Falcone aveva creduto, per l’appunto.

L’imparzialità, parola impronunciabile per i pm

Ed è quanto meno contraddittorio continuare a tenere l’immagine di “Giovanni e Paolo” dietro ogni scrivania di giudici e pm come se fossero santini, e ignorando il loro pensiero. E lanciando il sospetto che il governo e il parlamento abbiano un unico disegno politico in mente. Quello di “preparare il terreno a riforme che tendono ad assoggettare alla politica il controllo di legalità affidato dalla Costituzione alla magistratura”. Quindi, ammesso che sia compito della magistratura esercitare un controllo preventivo e non invece limitarsi a perseguire i reati individuandone i responsabili, voler distinguere tra chi nel processo è parte, come l’accusa e la difesa, da chi siede sullo scranno più alto e ha il compito di giudicare, significherebbe zittire e schiacciare i magistrati. I quali, dice ancora il documento inviato al Csm, devono essere liberi di manifestare le proprie opinioni anche in occasioni pubbliche. E qui torna in discussione la parola impronunciabile, l’imparzialità. Che garanzie può dare di tutela del diritto del cittadino, di qualunque cittadino, colui che abbia già manifestato la propria opinione sul tema su cui sarà chiamato a giudicare?

Il procuratore nel centro sociale contro Ponte Stretto

Proprio nei giorni precedenti il ricorso del sindacato delle toghe al Csm, allo stesso organo di governo della magistratura si erano rivolte le due consigliere laiche Isabella Bertolini e Claudia Eccher per chiedere una pratica sul procuratore aggiunto di Reggio Calabria e segretario di Magistratura Democratica, Stefano Musolino. Il quale non solo era andato lo scorso 17 ottobre al convegno di un centro sociale in cui si protestava contro la costruzione del ponte sullo stretto di Reggio e Messina, ma aveva criticato con particolare foga il decreto sicurezza del governo. Con quale equilibrio, domandano le due consigliere, che chiedono sia il procedimento disciplinare che quello sulla compatibilità con lo status di magistrato della “toga rossa”, il procuratore aggiunto Musolino potrà in futuro stare in giudizio su vicende che riguardano per esempio la sicurezza?

Ora la parola va al Consiglio superiore. Che sui casi singoli si è sempre chiuso a riccio a difendere il proprio figliolo in toga. Lo ricordiamo sul caso di Jolanda Apostolico, che partecipava a manifestazione decisamente di parte sul problema dell’immigrazione e dei rimpatri, prima di doversene occupare quando indossava la toga. Poi nel caso sui giudici di Bologna (su cui il plenum are compatto), che erano ricorsi alla Corte di giustizia europea, e anche nei confronti di Silvia Albano, presidente di quella stessa corrente di sinistra, Magistratura Democratica, di cui Musolino è segretario. E per quel che riguarda la richiesta di autotutela per la corporazione, in genere compatta, salvo qualche presa di distanza della corrente di Magistratura indipendente, inutile ricordare che i laici di sinistra si accodano sempre alle toghe, alla faccia dell’autonomia.

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.