La sinistra e la guerra in Ucraina, il ruolo dell’Europa, i rapporti con gli Stati Uniti e l’ammonimento del Papa. Il Riformista ne discute con Debora Serracchiani, capogruppo del Partito Democratico alla Camera dei Deputati.

Si dice: sostenere l’aggredito, il popolo ucraino, anche fornendo armi, è condizione per arrivare a una trattativa per una pace giusta. Ma è questo il vero obiettivo, o come esplicitano le reiterate dichiarazioni dei vertici dell’Amministrazione Usa, a partire dal presidente Biden, e il primo ministro del Regno Unito, Boris Johnson, è abbattere il regime russo o comunque indebolirlo fortemente?
Noi vogliamo la pace. Noi vogliamo che la guerra cessi, che tacciano le armi, che le bombe non cadano più sugli ospedali, sugli asili, sui condomini, sui rifugi, sui teatri, sulle persone che sono in fila per un pezzo di pane. Che terminino i massacri dei civili, la “coventrizzazione” di un’intera nazione, la distruzione scientifica del suo apparato industriale, della sua rete infrastrutturale e perfino della sua capacità di produrre grano e cereali che – come denunciano gli organismi internazionali – sta determinando una catastrofe alimentare soprattutto nei Paesi più poveri. Questo è l’obiettivo e sappiamo che la strada è il negoziato. Tutto ciò che stiamo facendo, accanto al popolo ucraino, a quel popolo che – come dice il suo presidente Zelensky – si è dovuto fare esercito per difendersi dall’aggressione russa, ha questa unica finalità.

L’Europa ha una sua strategia politica non solo sull’Ucraina ma sulla sicurezza del vecchio Continente o siamo sempre più a rimorchio di Washington e di una Nato a trazione americana?
Non vedo un’Europa a rimorchio degli Stati Uniti. Osservo piuttosto che proprio l’Europa, la sua risposta immediata unitaria e decisa alla guerra di Putin ha assestato un colpo risolutivo al disegno del presidente russo e al suo obiettivo di dividere l’Unione come tassello per risuscitare una sorta di nuova “cortina di ferro”. Voleva dividere l’Europa e all’opposto ha costruito le condizioni perché quel sentimento di casa comune che è fatto non solo di istituzioni e procedure ma di valori solidi e condivisi e di rocciosa volontà di tutelare il patrimonio di democrazia, libertà, tolleranza, difesa dei diritti individuali ne emergesse più forte e più determinato. Nascono da qui i “lavori in corso” per giungere a una politica di sicurezza e di difesa comuni, all’autonomia energetica e, come noi Democratici speriamo, agli Stati Uniti d’Europa.

Può fare di più l’Europa?
L’agenda dell’Europa in questa fase è davvero ricca e decisiva. Prima di tutto deve preservare l’unità che ha contraddistinto la sua reazione fin dalle prime ore. La coesione dei popoli europei ha anche un valore simbolico, sta a dimostrare la consapevolezza che l’attacco di Putin è diretto anche al sistema di valori che l’Europa libera, democratica, multilaterale, tollerante esprime e rappresenta. Poi deve agire con forza per evitare una possibile escalation e camminare verso un obiettivo che forse si può riassumere in un “Helsinky 2”, di cui ha parlato di recente anche il capo dello Stato, per riscrivere tutti insieme, quindi anche con la Russia, un sistema di regole a garanzia della sicurezza e quindi della pace in Europa perché fondato sull’intangibilità delle frontiere, della integrità territoriale e della sovranità di ogni Stato. A Helsinky, nel 1975, venne scritta una pagina che avrebbe condotto alla fine della guerra fredda. E non da ultimo deve dare risposta al desiderio degli Ucraini di entrare a far parte della casa comune e, su questo punto, mi pare assai importante l’idea lanciata da Letta di una Confederazione, a cui aderirebbero anche altri Stati che hanno espresso l’intenzione di far parte dell’Unione, per bilanciare i tempi lunghi di ingresso.

Nutre fiducia nei negoziati?
La via negoziale è l’unica e devo avere fiducia anche perché vedo impegnati leaders e nazioni. Certo non posso non osservare con amarezza l’umiliazione che Mosca ha voluto infliggere all’Onu bombardando Kiev proprio nelle ore in cui il segretario generale Guterres incontrava il presidente Zelensky dopo essere stato da Putin oppure il rifiuto di un cessate il fuoco almeno in occasione della Pasqua ortodossa.

Se la pace si fa col nemico che senso ha definire il capo dei nemici un “macellaio” per giunta genocida?
Espressioni che non avrei usato ma che, ricordo, sono state pronunciate davanti ai corpi di donne, anziani, giovani torturati e giustiziati a Bucha o alle immagini di centinaia e centinaia di fosse comuni scoperte nelle città e nei villaggi occupati dai militari di Putin.

La sinistra e la guerra. Ha scritto su questo giornale Donatella Di Cesare: “Non era mai avvenuto che il popolo della sinistra si sentisse così tradito nei propri ideali da coloro che hanno promosso una politica militarista. Prima hanno deciso l’invio delle armi, poi hanno votato l’aumento delle spese militari, ora sponsorizzano un’economia di guerra”. Lei che è presidente del gruppo del Pd alla Camera si sente chiamata in causa?
Guardi, premetto che nessuno di noi ha preso le decisioni che ha preso a cuor leggero e dubito ci sia chi ha solo certezze o non si sente interrogato dalla propria coscienza. Ma, premesso che nel votare l’invio di armi all’Ucraina ci siamo mossi nel pieno rispetto della nostra Costituzione, dell’articolo 51 della Carta Onu e in sintonia con la risoluzione votata dal Parlamento europeo il 1° marzo, mi chiedo se sarebbe stata di sinistra la scelta di voltare la testa altrove rispetto alla richiesta degli ucraini di essere aiutati nella resistenza all’esercito invasore e di suggerire loro, dai nostri comodi salotti, di arrendersi.

Biden dà conto all’opinione pubblica interna ed internazionale del tipo di armamenti fornito all’Ucraina. Così Scholz. Così Johnson e pure Macron. Perché in Italia si “secreta” l’argomento? E il Parlamento?
Si tratta di una questione di cui è stata valutata un’esigenza di tutela della sicurezza nazionale, da qui il vincolo di segretezza. Il Parlamento è informato nella sede competente, il Copasir che tra l’altro è presieduto da un esponente dell’opposizione.

“Per la pace non c’è abbastanza volontà. La guerra è terribile e dobbiamo gridarlo”. Così papa Francesco nell’intervista al Corriere della Sera. Il Papa ha anche tentato di ragionare sulle radici che hanno indotto Putin a una guerra così brutale: forse il terremoto è stato scatenato dall’”abbaiare della Nato alla porta della Russia”. “Un’ira che non so dire se sia stata provocata, ma facilitata forse sì”, si è interrogato Bergoglio. Lei che ne pensa?
La guerra deve cessare. Dobbiamo essere grati al Papa per questo suo incessante richiamo alle coscienze di tutti noi. Penso davvero che vada compiuto ogni sforzo per arrivare al cessate il fuoco e alla pace e, ancora una volta, occorre essere grati al Pontefice per la disponibilità a recarsi da Putin. Mi piace rammentare anche quanto detto dal presidente Mattarella nel bellissimo discorso di qualche giorno fa all’assemblea del Consiglio d’Europa quando, citando Schuman, ha ricordato che “la pace non potrà essere salvaguardata se non con sforzi creativi, proporzionali al pericolo che la minacciano”. Dobbiamo muoverci proprio su questa strada con coraggio, superando anche eventuali errori e leggerezze del passato ma sempre avendo ben chiaro che esiste un aggredito e un aggressore, un invasore e un popolo che vede i suoi cari uccisi, le sue case distrutte, i suoi figli in fuga e dispersi nel resto dell’Europa.

Il sistema delle sanzioni sta dando frutti? Non crede che costeranno molto anche a noi?
L’economia russa si avvia verso una grave crisi e non sono i media occidentali a dirlo bensì la governatrice della Banca centrale di Mosca e le stime sul crollo del Pil che raggiungerà quest’anno le due cifre. Le sanzioni sono l’unico strumento per contrastare l’azione di Putin. Non c’è altro mezzo se non le armi, rispondere alla guerra con la guerra. L’Unione europea ha introdotto diversi livelli di sanzioni e, a giorni, concorderà anche l’embargo del petrolio proveniente dalla Russia come già accaduto con il carbone. Per il gas occorrerà più tempo per trovare un’intesa perché, come è noto, la dipendenza dell’Europa arriva al 40% delle proprie importazioni e non possiamo chiudere i rubinetti dall’oggi al domani: ci stiamo attrezzando per spezzare questa dipendenza che, si è visto del resto proprio in questi giorni, Putin usa come arma bloccando le forniture a Polonia e Bulgaria. Più che gli effetti delle sanzioni è la guerra che sta provocando scosse al sistema economico e produttivo internazionale e quindi anche a casa nostra. Proprio per sostenere le famiglie e le imprese in una situazione di crisi determinata anche dal caro bollette, dall’aumento del prezzo delle materie prime e dall’inflazione abbiamo insistito con il governo perché adottasse misure forti con l’obiettivo di tutelare salari e potere d’acquisto. Con il decreto approvato lunedì 2 maggio il governo è andato in questa direzione. Tassando gli extraprofitti di pochi si è intervenuti su 28 milioni di persone. Un intervento di redistribuzione fiscale che avevamo sollecitato: redistribuzione, aiuto alle fasce più deboli, intervento su affitti e trasporto pubblico locale. È la strada giusta.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.