Dalla “Prima” alla “Terza Roma”, per cercare la via di una difficile quanto agognata pace. La missione del cardinale Matteo Maria Zuppi, dopo avere toccato Kiev, capitale della «martoriata Ucraina», giunge alla sua seconda tappa: Mosca. Il presidente della Conferenza episcopale italiana arriva alle porte del Cremlino in uno dei momenti più confusi e complessi della Russia post-sovietica. La marcia della Wagner di Evgenij Prigozhin – derubricata dallo stesso autore in protesta – ha paralizzato per interminabili ore il Paese, con effetti di cui ancora è difficile comprendere i veri contorni.

Ma se al momento non è possibile definire in modo netto la portata di un evento così traumatico per il presidente Vladimir Putin, la guerra in Ucraina non sembra subire grossi contraccolpi. Le bombe russe hanno continuato a colpire i centri ucraini anche quando i contractors della Wagner marciavano su Mosca. Mentre le forze armate di Kiev hanno proseguito nella controffensiva sia verso est che verso sud. La missione di pace di “don Matteo” non ha perso dunque alcuna urgenza.

E il suo arrivo a Mosca, in un momento di confusione, può anche essere utile per sondare il terreno e capire fino a che punto sia possibile trovare spiragli di dialogo. Il bollettino della Santa Sede spiega che l’obiettivo principale dell’iniziativa è «incoraggiare gesti di umanità, che possano contribuire a favorire una soluzione alla tragica situazione attuale e trovare vie per raggiungere una giusta pace». Parole da cui trapelano almeno due messaggi.

Il primo: puntare su una diplomazia che non guardi al lato strategico, che certo esula dal focus del Vaticano, ma all’umanità. Il secondo messaggio, invece, è quello della ricerca di una pace che deve essere anche «giusta», confermando quella linea già espressa in Ucraina e rilanciata sia da Volodymyr Zelensky che dal blocco occidentale. La strada non è certamente in discesa. Ma Zuppi, che ben conosce le tortuose vie con cui si può raggiungere la pace, non è persona che si dà per vinta. La tappa a Mosca è un’immagine cristallina dell’impegno totalizzante dell’arcivescovo di Bologna e di Papa Francesco per trovare una via del dialogo a qualunque costo.

Anche parlando con chi ha scatenato la guerra, e avendo piena consapevolezza che un incontro con il potere russo può essere scivoloso e mediaticamente controproducente. Le aspettative, nonostante le difficoltà, rimangono elevate. In parte perché Zuppi ha dalla sua una diplomazia attiva da molto tempo su più livelli. In parte perché il Cremlino è apparso molto attento a non delegittimare la missione dell’inviato pontificio.

Il viceministro degli Esteri Alexander Grushko aveva riferito ai giornalisti di «interesse e attesa da parte del governo russo» per la futura visita del cardinale, e in quella stessa occasione aveva anche sottolineato l’apprezzamento verso la «posizione equilibrata del Vaticano e la posizione presa personalmente dal Papa». L’apertura da parte russa c’è stata, come del resto avvenuto anche verso le altre missioni diplomatiche da parte di quella parte del mondo «non allineata» non legata al mondo atlantico. E questo naturalmente aiuta la pur difficile missione di un inviato che va lì non per parlare di trattative politiche, ma per ribadire l’assoluta necessità di ritrovare la pace. Anche facendo leva su quella cristianità spesso utilizzata da Putin per la sua propaganda e che ha come interlocutore e alleato il patriarca Kirill. La domanda, a questo punto, riguarda soprattutto il peso della coincidenza dell’arrivo di Zuppi con la Mosca post-Prigozhin, e di come questo trauma possa incidere sia nei piani del presidente sia dell’establishment.

Al momento, la situazione appare ancora avvolta da una sorta di vera e propria nebbia di guerra, pur se eminentemente interna, resa volutamente impenetrabile da un sistema di potere apparso ferito e che non può mostrarsi ancora più fragile. Il presidente Aleksander Lukashenko, l’uomo che ha mediato tra Putin e il suo “chef” nelle concitate ore della marcia della Wagner, ha confermato il duro negoziato ma anche che Prigozhin è in Bielorussia. Tuttavia, oltre a dare notizia dell’arrivo del capo mercenario, Lukashenko ha dato anche altre indicazioni, che gettano un’ombra sul futuro di Minsk e certificano i timori dei Paesi vicini. Per il leader bielorusso, l’esperienza degli uomini che seguiranno Prigozhin nel protettorato di Mosca è «inestimabile», specialmente se questo può servire per aiutare le forze armate del Paese nel migliorare le proprie capacità. Frasi che possono essere solo propaganda. Ma che non possono essere sottovalutate se si collegano al fatto che la Bielorussia può sempre essere coinvolta sul fronte ucraino e che è pronta a ospitare le bombe nucleari tattiche russe.

Nel frattempo, da Mosca, Putin ha ribadito la volontà di scindere Prigozhin dalla Wagner, e lo ha confermato in un discorso al personale militare sottolineando il «coraggio ed eroismo» dimostrati dai contractor. L’obiettivo sembra essere ancora una volta quello di normalizzare: sia la Wagner che le ore di caos. Si rincorrono voci su cambi nei vertici della Difesa, con Sergei Shoigu e il capo di Stato maggiore Valerij Gerasimov spesso descritti come prossimi alla destituzione. E in attesa di nuovi sviluppi politici, la visita del cardinale Zuppi appare quasi come uno squarcio di speranza mentre un fumo fatto di dissimulazione, mercenari, paura di un collasso e di un caos militare avvolge la «Terza Roma».