La missione del Cardinale Matteo Maria Zuppi è iniziata. Prima tappa Kiev, capitale di quella “martoriata Ucraina” che dall’inizio dell’invasione è al centro dei pensieri di Papa Francesco. Per l’arcivescovo di Bologna e presidente della Cei una missione difficile. Ma la diplomazia vaticana, anche in questa guerra, ha le sue carte da giocare. Ne abbiamo parlato con don Stefano Caprio, docente di storia e cultura russa al Pontificio Istituto Orientale di Roma, e una dei massimi conoscitori del mondo russo.

In cosa consiste questa missione del cardinale Zuppi?
Zuppi si è recato a Kiev quando l’Ucraina sembra avere iniziato la controffensiva: non credo sia una coincidenza. La prima richiesta di Zuppi, a nome del Papa, è certamente quella di evitare l`escalation. Non si tratta di offrire valutazioni militari, politiche e territoriali, ma sostanzialmente morali: evitare nuove tragedie, cercare di non far coincidere le esigenze belliche con forme di odio ideologico, etnico e religioso. Il segretario di Stato Pietro Parolin ha spiegato che la missione ha lo scopo di “creare il clima di pace”, e oltre alle raccomandazioni sul trattenersi da offensive devastanti, credo che ci sia un argomento al di sopra degli altri: dimostrare che non esiste uno “scontro di civiltà”. La Santa Sede ritiene che i “valori tradizionali” che la Russia vuole difendere a mano armata sono valori comuni del cristianesimo e dell’Europa e si devono trovare altre vie per preservarli.

Come valuta la decisione di indicare Zuppi e non coinvolgere solo la Santa Sede?
Indubbiamente conta la storia di “mediatore di conflitti” di Zuppi, legato alla Comunità di Sant’Egidio: una “diplomazia parallela” importante nella Chiesa, apprezzata da Francesco e sicuramente anche dalla Russia, da Vladimir Putin ma anche dal patriarca Kirill. D’altra parte, si vuole preservare la diplomazia tradizionale della Segreteria di Stato e dei nunzi apostolici, che possono continuare a lavorare senza finire sotto i riflettori. Potremmo dire che Zuppi è un rappresentante “di bandiera” che garantisce a tutti di poter svolgere il proprio ruolo, e questo vale per i missionari, gli uomini di cultura, attività caritative e di assistenza, come quella per i bambini, che più che mai ha bisogno di essere protetta.

Sette anni fa Francesco incontrava Kirill a Cuba. Dopo una guerra in cui il patriarca rappresenta un alleato di Putin, esistono canali di dialogo tra Roma e Mosca?
Dopo il gelo nell’ultima fase del pontificato di Giovanni Paolo II e di sedimentazione con Benedetto XVI, dall’incontro all`Avana erano ripartiti molti progetti, soprattutto umanitari e culturali. Kirill con quell’incontro proponeva alla Chiesa cattolica di unirsi per difendere i valori cristiani “non negoziabili”, come si diceva ai tempi del cardinale Ruini e del magistero “tradizionale” di Ratzinger. Bergoglio non ha rifiutato questa alleanza, che presuppone di mettere da parte le questioni storiche e dogmatiche, e vorrebbe ripartire da questa idea per trovare prospettive di pace.

Quali sono i ponti tra Vaticano e Kiev?
In Ucraina, dal punto di vista religioso la situazione è confusa per la frammentazione del mondo orto-dosso e cattolico. C`è la Chiesa autocefala del metropolita Epifanyj, quella “moscovita” di Onufryj, che ha preso le distanze da Kirill ma in modo ambiguo, la Chiesa greco-cattolica dell`arcivescovo Svjatoslav (che i fedeli chiamano “patriarca”) e una minoranza cattolica latina da sempre in rapporti poco amichevoli con gli “uniati”. Il Vaticano cerca di tenere buoni rapporti con tutti, sapendo che a volte è più semplice con gli ortodossi che non con i “propri” cattolici. Il capo dei greco-cattolici, Svjatoslav Seveuk, è persona molto accorta e sensibile e ha un filo diretto con Francesco. Svetta anche la figura del nunzio, Visvaldas Kulbokas, che accompagnò Bergoglio all`Avana e che gode della stima di tutti come unico diplomatico rimasto a Kiev subito dopo l’invasione.

La Chiesa cattolica può mediare in una guerra tra due Paesi ortodossi?
Come dice il nome, l’Ucraina è “confine” tra mondo europeo e mondo russo e anche tra ortodossia e cattolicesimo. Mosca ha sempre cercato di assumere un ruolo universale anche nel cristianesimo, e il suo interlocutore naturale è sempre il papa di Roma. Quindi non si tratta di un contatto legato solo alla contingenza, ma di un legame storico in cui il territorio ucraino è cruciale. Questo lo sanno a Roma, a Mosca e a Kiev. La vocazione storica degli ucraini, dal punto di vista ecclesiastico, è di essere in comunione con tutti, da Costantinopoli a Roma, mantenendo una propria identità basata sulla conversione al cristianesimo bizantino.

Putin ha sempre percepito il suo potere come qualcosa anche di metafisico. Il richiamo ai valori dell’ortodossia, l’uso dei simboli religiosi, la guerra alla cultura occidentale… è propaganda o reale convinzione?
La definizione di “guerra metafisica” è stata data da Kirill pochi giorni dopo l`inizio della guerra in Ucraina. Questo rivela una caratteristica del sistema di potere in Russia, erede della “sinfonia bizantina”: lo Stato esercita il controllo materiale, la Chiesa indica la via spirituale, e questo era vero anche ai tempi sovietici con la “chiesa” ateista del partito. Usare simboli religiosi significa illustrare questa origine divina del potere, che non viene dal popolo e tantomeno dalla democrazia, considerata “dittatura della maggioranza” e delle stesse minoranze, che condizionano la vita della società.

Come si può ricomporre il dialogo con l`Occidente se le basi appaiono così diverse?
Non sarà facile ritrovare una comprensione reciproca su questi temi, su cui non si è prestata abbastanza attenzione ben prima dell`invasione russa. Il trentennio della globalizzazione liberista e libertaria ha prodotto la reazione sovranista e identitaria, e la guerra attuale è lo spartiacque delle epoche. Siamo in un nuovo Medioevo: ci vorranno diverse generazioni per vedere una nuova società mondiale di pace e dialogo tra tutti.

Lorenzo Vita

Autore