Donald Trump parla di “svolta storica”. Benjamin Netanyahu lo segue a ruota. I palestinesi, spiazzati, frenano. Ma una cosa è certa . Da oggi gli Emirati Arabi diventano il primo Paese del Medio Oriente dopo Egitto e Giordania ad avere rapporti con Israele. “Storico accordo di pace tra due nostri grandi amici, Israele ed Emirati Arabi”, ha scritto il presidente degli Stati Uniti rendendo pubblico l’accordo tra i due Paesi. “Giornata storica”, ha commentato il premier israeliano Benyamin Netanyahu. Trump ha illustrato l’accordo di pace tra Israele ed Emirati Arabi dalla Casa Bianca, alla presenza di alcuni suoi stretti collaboratori tra cui il genero consigliere Jared Kushner, l’architetto del piano di pace Usa per il Medio Oriente. “Un grande passo, una svolta storica”, ha detto il tycoon. Per lui si tratta di una vittoria politico-diplomatica da cavalcare in chiave elettorale. “Ora che il ghiaccio è stato rotto”, ha poi detto Trump ai giornalisti nello Studio Ovale, “mi aspetto che altri Paesi arabi e musulmani seguano l’esempio degli Emirati”.
“In conseguenza della svolta diplomatica e su richiesta del presidente Trump, con il sostegno degli Emirati, Israele sospenderà la dichiarazione di sovranità su aree citate nel Vision of peace del presidente e ora concentrerà gli sforzi sull’allargamento dei legami con altri Paesi e il mondo musulmano”. Lo ha scritto su Twitter lo stesso capo della Casa Bianca. Che poi ha anche annunciato: “Se vinco le elezioni, farò un accordo con l’Iran in 30 giorni”. “Nella mia telefonata di oggi con il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, e con il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, è stato deciso di fermare l’annessione di Israele dei territori palestinesi”, ha poi annunciato in tweet il principe emiratino, Mohamed bin Zayed. “Gli Emirati Arabi Uniti e Israele hanno inoltre concordato di stabilire una tabella di marcia per avviare una cooperazione congiunta, che porti a relazioni bilaterali”, ha aggiunto.
Dal canto suo, Netanyahu ha definito “giornata storica” l’accordo di pace e normalizzazione siglato con gli Emirati Arabi Uniti. Stesse parole quelle usate dal segretario di Stato Usa, Mike Pompeo: “Oggi è una giornata storica e un significativo passo avanti per la pace in Medio Oriente. Questo è un risultato notevole per due degli Stati tecnologicamente avanzati e più inclini al futuro del mondo e riflette la loro visione regionale condivisa di una regione economicamente integrata. Dimostra anche il loro impegno nell’affrontare le minacce comuni, come nazioni piccole ma forti”. Nei negoziati hanno avuto un ruolo importante oltre al genero e consigliere di Trump, Jared Kushner, l’ambasciatore americano in Israele, David Friedman, l’inviato per il Medio Oriente, Avi Berkowitz, il segretario di Stato, Mike Pompeo e il consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, Robert O’Brien.
Ma la storia del Medio Oriente insegna che le parole pesano e spesso disorientano. Ecco allora “Bibi” condividere l’entusiasmo del suo amico “Donald”, ma al tempo stesso, da abile politico quale indubbiamente è, sa che in diretta televisiva lui parla in primo luogo agli israeliani. Netanyahu usa la parola rinvio per calmare l’estrema destra nella coalizione al potere, i coloni già lo accusano di averli svenduti, aveva promesso di inglobare alcune aree dei territori palestinesi entro il primo luglio. Di sicuro – sostengono gli analisti locali – sembra aver deciso di rinviare la crisi di governo: negli ultimi giorni fonti del suo Likud avevano lasciato capire che l’alleanza con l’ex avversario Benny Gantz stesse saltando, gli israeliani rischiavano di tornare a votare verso novembre, la quarta volta in un anno e mezzo. È improbabile che il premier più longevo nella storia d’Israele sia pronto a una campagna elettorale in cui verrebbe demonizzato dai coloni e dagli ultranazionalisti.
A confermare l’impressione di prudenza è lo stesso Netanyahu che in conferenza stampa puntualizza: “L’annessione è ancora sul tavolo”.
Resta il fatto che l’entusiasmo dei contraenti per lo “storico accordo”, non è condiviso minimamente dai palestinesi. “Israele è stato premiato per non aver dichiarato apertamente che cosa sta facendo in modo illegale e costante alla Palestina dall’inizio dell’occupazione. Gli Emirati Arabi Uniti sono usciti allo scoperto sui loro accordi segreti con Israele. Per favore, non fateci alcun favore. Non siamo la foglia di fico di nessuno”. Così su Twitter Hanan Ashrawi, ex ministra, tra le più autorevoli personalità della dirigenza palestinese. Anche Hamas boccia l’accordo: “Non serve la causa palestinese e incoraggia l’occupazione: serve a negare i diritti del popolo palestinese”, dichiara il movimento, stando a quanto riporta Al Jazeera.
Secondi i Comitati di resistenza palestinese, l’intesa “rivela le dimensioni della cospirazione contro il popolo palestinese, ed è una pugnalata infida e velenosa alle spalle della nazione”. “La normalizzazione è resa e sottomissione e non cambierà i fatti del conflitto, ma piuttosto renderà l’occupazione più terroristica”, rilancia la Jihad islamica palestinese. Silenti, al momento, sono le altre capitali arabe e quelle potenze regionali, come la Turchia e l’Iran, che cercano, e non da oggi, di gestire in proprio la “causa palestinese”.
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