Non perda tempo chi non ha tempo, diceva qualcuno. Nel caso della nostra giustizia questa frase vale ogni tanto, a intermittenza. Dipende su chi si indaga. Se nel mirino dei Pm ci sono comuni cittadini che nulla hanno a che vedere con la criminalità organizzata le indagini sono velocissime, le intercettazioni sono chilometriche e gli ordini di custodia cautelare in carcere si sprecano. Ma se invece parliamo di esponenti di spicco di clan o comunque di gruppi che praticano attività illecite, allora si temporeggia, si aspetta. I tempi si dilatano nel tentativo di raccogliere più elementi possibili. Si aspetta anche quando si acquisiscono prove cristalline.

È lo strano caso di Pianura, uno dei tanti quartieri di Napoli martoriato dalla criminalità organizzata. Una zona dove negli ultimi anni si sono vissuti momenti di terrore con stese, agguati e pestaggi all’ordine del giorno, con gli abitanti delle case popolari di via Torricelli spesso rinchiusi in casa per evitare la tragica etichetta di vittima collaterale.   È questo lo sfondo dell’episodio che stiamo per raccontare, lo sfondo dell’assurdità delle indagini, delle intercettazioni e del modo di agire della Procura (di solito sempre pronta a tirare fuori le manette e a usare le intercettazioni, anche se non sono valide ai fini processuali, pur di mandare dentro qualcuno). Dicevamo, siamo a Pianura, è il 23 luglio del 2021, ci sono esponenti di spicco della malavita intercettati da mesi, ci sono le cimici della procura a spiare i loro movimenti e le loro conversazioni. C’è il mercato della droga, è di proprietà dei “capi” del quartiere, sotto di loro i pesci piccoli che gestiscono le piazze di spaccio. Loro devono pagare i pesci grandi per stare lì, vendere la droga e guadagnare.

Uno di loro non riesce a pagare con puntualità il “pizzo” (perché deve una quota anche all’altro clan) ma continua a fare affari con le sostanze stupefacenti per recuperare denaro. Il gruppo inizia a riunirsi per «dare una lezione a quello che si rifiutava di pagare» e che più volte era stato richiamato all’ordine, con scarsi risultati. Non paga. Le cimici riferiscono di conversazioni nelle quali si parla di prenderlo a botte, di dargli una lezione, addirittura di sparare il figlio. Poi di sparare direttamente il moroso. Con lo scopo di dargli una lezione e contemporaneamente educare gli altri gestori delle piazze. L’uomo viene convocato dai quattro capi, volano parole e minacce. La discussione si infiamma, uno dei quattro spara. Bene attenti, il tutto succede in diretta e da Pianura arriva dritto dritto all’orecchio della Procura che in quel momento tutto ascolta e tutto sa. Inequivocabile ciò che sta accadendo tra quelle quattro mura. Un proiettile raggiunge l’addome dell’uomo, un altro lo colpisce sul braccio. Una frazione di secondo. Le voci si alterano, c’è il sangue e mentre uno è a terra e implora aiuto (le intercettazioni riferiscono: «portatemi in ospedale uaju, scusate, vi voglio bene, vi prego, ma che vi ho fatto») gli altri si muovono per ripulire il sangue e tranquillizzano il killer: tu «vattenn» (“vattene”). Farà così, prenderà un borsone e sparirà per quale giorno. Il moroso invece viene ricoverato in terapia intensiva e dopo un lungo periodo si riprenderà e, qualora ce ne fosse stato bisogno, farà il nome di chi ha tentato di ucciderlo alla moglie, giusto per cristallizzare al meglio le intercettazioni ascoltate dagli investigatori.

Ora, la storia è questa. Sembra una delle tante storie di quartieri fuori dalla grazia di Dio (e delle istituzioni) ma non è proprio così. La Procura sapeva, aveva sentito, aveva coscienza che uno dei “capi” della zona aveva appena tentato di uccidere uno spacciatore. Ma non interviene, aspetta, temporeggia. L’ordinanza di custodia cautelare in carcere arriverà solo a un anno dall’evento (lo scorso 14 luglio) e solo quando l’attenzione mediatica sul quartiere è arrivata alle stelle, come l’esasperazione della gente che scende in piazza perché così non si può più vivere. Certo, ci sono i tempi della giustizia ma ci sono anche i casi in cui di fronte a prove così evidenti, la Procura può intervenire subito con decreti di fermo. Non lo fa. Nel frattempo, Pianura è attraversata da una scia di sangue inarrestabile. Tonino Zarra e Andrea Covelli muoiono a distanza di pochi mesi. Due esecuzioni in piena regola. A Pianura si spara una sera sì e l’altra pure. La faida è aperta, eppure la Procura interviene solo quando la situazione è diventata apocalittica. Non avrebbe potuto farlo prima? Era necessario far passare un anno e altri morti? Domande aperte. Resta un fatto: è una giustizia a due velocità, dipende di chi si tratta.

Avatar photo

Giornalista napoletana, classe 1992. Vive tra Napoli e Roma, si occupa di politica e giustizia con lo sguardo di chi crede che il garantismo sia il principio principe.