Nuove strategie per lo sviluppo
Al Sud serve un modello di crescita che non sia quello del Nord
Il drammatico diffondersi della pandemia di Covid-19 ha generato impatti socio-economici tali da delineare uno scenario in cui l’incertezza diventa, a livello globale, la cifra distintiva. Il grande paradosso davanti al quale ci troviamo, figli di un’epoca che trova la sua massima espressione nella capacità informatica di elaborare istantanee previsioni del futuro, è quello che vede l’incertezza non più palesarsi come il più grande nemico, ma come un’opportunità per il nostro Paese e, nello specifico, per il territorio campano: il poter indirizzare strategicamente l’impiego degli strumenti straordinari messi a disposizione dal Recovery Fund.
Si tratta di un’occasione, probabilmente l’ultima, per superare un baratro economico che, nonostante gli sforzi, non solo non si è mai riusciti a risolvere, ma che la pandemia ha riacutizzato. Non cogliere tale occasione significherebbe segnare in modo definitivo le sorti del nostro Paese e, specificamente, quelle del Mezzogiorno. Mai come in questi mesi, infatti, la questione meridionale è tornata ad essere argomento di attualità. Lo ha di recente ribadito anche la Svimez con dati allarmanti sul depauperamento del Sud e sulle sue capacità di ripresa. L’Italia “a due velocità”, insomma, appare una metafora sempre più solida.
Da un lato il modello economico-produttivo del Nord che, pur vittima di un inevitabile rallentamento, ha di fatto dimostrato di essere flessibile a sufficienza per adattarsi all’inedito scenario disegnato dal lockdown; dall’altro un modello, quello del Sud, che ha provato a emulare quello settentrionale impiantandolo però su un substrato sociale e produttivo privo di quelle risorse che, al Nord, lo hanno reso vincente. Ecco, occorre smetterla di emulare e provare a creare un modello originale. Ora ci sono le premesse per sperimentare: è il momento perfetto per essere imperfetti.
A fare la differenza, nell’identificare una strategia di utilizzo del Recovery Fund sarà la capacità di valorizzare la qualità delle risorse più che la loro quantità. È una partita a scacchi che ha in palio il futuro del nostro territorio, in cui tutto deve essere fatto e pertanto tutto può essere fatto. Perché il Recovery Fund si traduca in una opportunità concreta di ripartenza per il Paese è essenziale che le risorse messe a disposizione vengano indirizzate su interventi strategici. È in questa cornice che diventa necessario investire su un nuovo tipo di filiera: la filiera digitale. In un’economia globalizzata, le tradizionali filiere, incarnazione di un sistema produttivo non più adatto alla fluidità dei mercati presenti e futuri, non hanno più senso di esistere.
La chiave di volta potrebbe allora essere creare una filiera del digitale che non abbia i propri gangli decisionali fuori dalla nostra Regione, una filiera che cambi completamente il modo di pensare e che potrebbe riscrivere le regole del mercato e della produzione industriale. Per poterla sviluppare occorre il coraggio di un pensiero nuovo, serve l’ambizione di dar vita a una radicale trasformazione di competenze, di risorse e di idee. Già da anni, attraverso iniziative pubbliche, è stato riconosciuto il peso strategico delle competenze attraverso l’istituzione di academy, competence center e poli accademici di eccellenza. Si tratta di fare il passo successivo, un passo che muova in direzione del mercato e trasformi le competenze formate in questi anni in idee imprenditoriali che diventino motore del tessuto economico-produttivo.
Quanto alle risorse, il Recovery Fund potrà essere lo strumento strategico per implementare misure a sostegno degli investimenti provenienti grandi player che consentiranno di facilitare la crescita e il consolidamento della filiera digitale. Quanto alle idee, abbiamo l’occasione di rifondare il modello di sviluppo delle start-up, il cui potenziale potrebbe essere capitalizzato se assorbito da realtà più solide e strutturate, in un circolo virtuoso sostenuto da incentivi a sostegno dell’investimento sulle realtà emergenti più innovative. È il momento delle sperimentazioni più ardite, le sole a consentirci di superare gli schemi nei quali siamo irretiti da anni.
La mancanza di una politica industriale ci dà infatti l’opportunità di costruirne una da zero, che non emuli, non imiti, non ne duplichi un’altra, ma che sappia valorizzare la ricchezza della Campania, le competenze, le menti, i talenti che qui nascono e che finora, spesso, altrove sono stati costretti a mettere radici e a generare valore. Ciò sarà possibile solo se la nuova politica industriale saprà essere lungimirante e capace di imporre un modello produttivo proprio. Un modello il cui cuore pulsante sia digitale. È solo dall’implementazione di un nuovo modello produttivo più vicino alle nuove abitudini di vita e di consumo, per le quali la crisi sanitaria ha agito come un vero e proprio catalizzatore, che può muovere una ripartenza le cui conseguenze impatteranno positivamente sul benessere sociale.
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