Il blocco di quasi tutte le attività industriali e le restrizioni alla mobilità che ci hanno impegnato come Paese a partire da marzo scorso hanno fornito un forte impulso a una sensibile riduzione dell’inquinamento dell’aria e del mare, da una parte, e all’adozione delle pratiche di smart working, dall’altra. Ne dovremo tenere conto nei prossimi decenni, credo, come fattori destinati a fungere da direttrici di sviluppo per l’economia e la società del futuro. Ma sarebbe dannoso e controproducente se questi driver importanti diventassero ideologismi alla moda, vale a dire di un modo di ragionare e compiere scelte sotto la pressione di una strategia della “decrescita” improntata, talvolta, a posizioni preconcette intrise di fanatismo integralista.

Il mondo che abbiamo dinanzi oggi, e ancor più quello che si prefigura in futuro, si presenta più complesso che mai. Richiede soluzioni in grado di rendere compatibili l’opzione della sostenibilità economica e sociale, oltre che ambientale, con la necessità di soddisfare i bisogni materiali e immateriali di un numero sempre più vasto di uomini e di donne che legittimamente chiedono di accedere al benessere in ogni area del pianeta. Può lo smart working rappresentare una soluzione apprezzabile, tale da costituire un viatico per un sistema industriale obbligato a favorire il riequilibrio ambientale di cui l’umanità ha impellente bisogno? Credo che sia necessario un equilibrio tra smart working e presenza fisica. Operare a distanza, per esempio, è necessario nell’ambito di uno scambio di informazioni e dati tra persone che sono dislocate in Paesi lontani. Oppure per eseguire interventi di manutenzione su installazioni fisicamente dislocate in Paesi o addirittura in continenti diversi.

Può essere anche una soluzione a fronte di una fase emergenziale come quella determinata dalla pandemia da Covid-19. Può persino essere una opportunità in quei settori dell’economia dei servizi che prevedono “operazioni standard”: penso alla pubblica amministrazione, al settore delle assicurazioni, a quello della telefonia e, in genere, a tutte le operazioni che si possono gestire con opzioni prefissate e tecniche preordinate. Nel mondo produttivo innovativo e tecnologicamente avanzato, tuttavia, è determinante il contatto fisico, ossia le condizioni che fanno scoccare la scintilla dell’energia creativa e inventiva, il guizzo che si sprigiona dal matching tra talenti, laddove le risorse umane trovano le migliori condizioni per la loro messa a valore.

C’è ormai ben poco di ripetitivo nel mondo dell’industria manifatturiera che, specialmente nei comparti a più alto contenuto tecnologico e di ricerca, ha abbandonato i modelli produttivi di stampo ford-taylorista che, nel secolo scorso, condussero alla formula della catena di montaggio, basata su operazioni semplificate e automatiche. L’industria di oggi (e del futuro) si basa, invece, su un insieme di applicazioni e soluzioni nuove per fronteggiare una domanda di beni e servizi che sta cambiando rapidamente sotto la spinta di megatrends che esercitano un forte impatto sui bisogni e sugli orientamenti della società. Il format produttivo dell’industria 4.0 è sostenibile e interconnesso, ovvero capace di integrare i risultati dei progressi scientifici all’interno di nuovi prodotti e servizi, nonché di trasformare i vincoli ambientali in opportunità per valorizzare il potenziale di sviluppo legato alle tecnologie Ict, migliorando l’efficienza e la capacità produttiva.

Non a caso in tale ambito si parla di “quarta rivoluzione industriale”, ossia di un passaggio destinato a ridisegnare la mappa dello sviluppo e delle opportunità nei prossimi decenni. Un cambiamento epocale, che presume una nuova visione della fabbrica non tanto considerata come luogo dove migliorare i prodotti tradizionali quanto come laboratorio dove sviluppare soluzioni industriali per fronteggiare le grandi sfide delle società avanzate. La fabbrica digitale diventa quindi il centro di questo nuovo modello, fondato sulla valorizzazione delle competenze, sulla sicurezza e dei luoghi di lavoro e sulla sperimentazione di nuovi modelli di relazioni industriali. È per questi motivi che, in una visione di medio-lungo termine, i suoi fattori trainanti sono formazione, ricerca e innovazione.

In questo ambito sono richiesti idee, confronto, creatività, lavoro in team. Dove è necessario vedersi di persona e discutere vis-à-vis. Nei settori della meccatronica – la disciplina che tende a far interagire meccanica, elettronica e informatica – ci sono comparti che richiedono di utilizzare tatto, udito e vista per verificare che un prodotto funzioni correttamente. L’isolamento fisico del lavoratore rischierebbe di risolversi in devitalizzazione dell’energia creativa, che si innesta proprio nel rapporto di collaborazione, nei brain storming di gruppo, in quel “lavorare insieme” che è la leva fondamentale della competitività di un’azienda. Lo smart working ha consentito di completare l’anno scolastico e accademico in una fase di acuta pandemia. Ma certo nessuno può seriamente immaginare che il sistema dell’istruzione si possa stabilmente ridurre a percorsi di formazione virtuale. Tant’è vero che il ritorno in classe e tra i banchi è, ad oggi, la sfida più importante che il governo è chiamato a raccogliere.