Il ritmo incessante della pioggia. Il rombo degli elicotteri che ogni cinque minuti attraversano i cieli. Le sirene dei mezzi di soccorso. Il fragore assillante degli allarmi delle abitazioni che squillano appena salta la corrente: da due giorni questi sono i suoni che rimbombano nelle orecchie di chi vive l’immane tragedia che ha colpito la Romagna. Un’ondata di maltempo che ha coinvolto anche la provincia di Bologna e un pezzo di Marche e Toscana.

L’esondazione dei fiumi ha causato almeno 9 morti, distrutto abitazioni, imprese e coltivazioni, provocato danni per svariati miliardi di euro. Ha messo in ginocchio una terra, la Romagna, che raramente aveva fatto parlare di sé per eventi simili. Eppure questa volta, di fronte a una quantità d’acqua pari a quella di tre mesi rovesciata a terra in appena un giorno e mezzo, anche questa parte d’Italia considerata virtuosa per manutenzione, investimenti e cura del territorio, non ha retto.
Hanno ceduto gli argini, sono franati i terreni (molti dei quali ancora intrisi d’acqua per la prima alluvione del 2-3 maggio), sono esplosi canali e rigagnoli nelle campagne. L’effetto è un bilancio da bollettino di guerra: vite spezzate e città travolte dall’acqua.

Viviamo questa alluvione da Forlì, in Romagna. Il primo a lanciare l’allarme alle 14.09 è il sindaco di Cesena, Enzo Lattuca, con un video girato in diretta dall’argine del fiume Savio che attraversa la città. “Allontanatevi da qui, prevediamo la rottura degli argini a breve”: e di lì a poco avviene l’irreparabile.
Dopo qualche ora, attorno alle 19, è il sindaco di Forlì, Gianluca Zattini, a rivolgere un drammatico appello ai propri cittadini: “Ci aspettiamo un’esondazione senza precedenti nella nostra storia, salite tutti ai piani superiori o evacuate verso i punti di raccolta: non è il momento di pensare alle cose, ma di pensare alla vita”. Qualcuno lo critica per un eccesso di drammatizzazione, ma è anche grazie a quel messaggio che in tanti si muovono per tempo e, pur nel disagio e nella disperazione per aver perso quasi tutto, la piena del Montone e del Rabbi non compiono il disastro ancora maggiore.

A Ravenna il sindaco, Michele De Pascale, si rivolge continuamente ai propri cittadini direttamente dal Centro operativo comunale con video mirati per ciascun quartiere e frazione. “Evacuate il prima possibile, trasferitevi ai piani alti, fatelo il prima possibile”. E così ciascuno si organizza come può per contenere lo straripamento del Ronco. Stessa sorte a Faenza, dove l’acqua uscita dall’alveo del fiume Lamone arriva fino in piazza del Popolo; Castel Bolognese è travolta dalla piena (“salite più in alto possibile”, scrive il sindaco Luca Della Godenza). Nel pomeriggio a Riccione si è allagato l’ospedale e i disagi sono diffusi in tutto il Riminese. La gran parte della Romagna è sott’acqua.

La burrasca che colpisce l’Adriatico peggiora le cose: addirittura il mare respinge l’acqua che arriva dai fiumi creando un effetto ancor più devastante. Si chiudono le ferrovie, i ponti, le strade e l’autostrada; sono interdetti gli spostamenti, chiuse tutte le scuole e i centri aggregativi. Le città diventano spettrali. Il tam-tam delle notizie e gli appelli dei sindaci, generano il panico tra la popolazione: accresciuto dall’enorme difficoltà nel comunicare. Salta continuamente la corrente elettrica e vanno in tilt i ripetitori che diffondono il segnale dei telefonini.

L’arrivo della notte coincide con il momento più critico delle piene dei fiumi. Per tanti è una notte trascorsa in bianco ad osservare quel che succede, a cercare notizie in modo nevrotico; per molti è trascorsa a salvare se stessi dalla piena del fiume che entra in casa e sale di livello di ora in ora; c’è chi passa la notte sul tetto di casa, in attesa che uno degli elicotteri del soccorso o un gommone dei vigili del fuoco riesca a raggiungere la propria abitazione.
Questo lo scenario apocalittico nelle grandi città. Di ciò che accade nelle vallate si sa, tuttora, poco o nulla; comunicazioni telefoniche impossibili, strade interrotte, frane ovunque che isolano interi centri abitati. Ci sono località raggiungibili solo in elicottero.

Ora è il momento dell’aiuto a chi ha bisogno: in tanti tra coloro che sono stati risparmiati dalle piene, hanno letteralmente aperto le porte delle proprie case a chi ha necessità. Ma ritirati i fiumi e contati i danni, si dovrà concretamente affrontare la gestione dei cambiamenti climatici. Servono investimenti che preparino il territorio alle emergenze, serve lungimiranza, serve una visione di futuro che attraversi ogni comunità e che stia dentro una cornice nazionale che – purtroppo – manca. Si deve ripristinare il progetto “Italia Sicura”: la si chiami come si vuole, ma una struttura con poteri commissariali, che consenta di accelerare le pratiche burocratiche per lo stanziamento dei fondi e lo svolgimento dei lavori, è imprescindibile. Una struttura capace anche di progettare opere e avere capacità di pensiero lungo, possibilmente slegata dagli orientamenti politici di chi governa. Utopia? Può darsi, ma non c’è più tempo da perdere.

La Romagna non è un territorio che è rimasto a guardare in questi anni. Investimenti su bonifiche, canali, impianti e soprattutto la mastodontica Diga di Ridracoli: un capolavoro di ingegneria, inaugurato nel 1988 e alla cui realizzazione si iniziò a pensare 20 anni prima. E così oggi grazie a quell’invaso da 33 milioni di metri cubi, collocato sull’Appennino romagnolo a cavallo tra i Comuni di Santa Sofia e Bagno di Romagna, pur nella tragedia assoluta, si è evitato il disastro totale contenendo la piena di alcuni corsi d’acqua. Ciò grazie al fatto che 40-50 anni fa ci fu chi pensò a cosa sarebbe servito nei decenni successivi. Oggi c’è qualcuno che si pone questa domanda in Italia? Ma soprattutto, c’è qualcuno pronto a costruire una risposta i cui benefici andranno per oltre il proprio mandato elettorale? Sì, si chiama Politica: se ancora esiste, è il momento di battere un colpo.

Marco Di Maio

Autore

L’ex deputato Di Maio documenta il dramma che sta colpendo l’Emilia Romagna, ma anche Marche e Toscana