Una serie di documenti sin qui ignota conferma le gravissime accuse mosse 15 anni fa da dall’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga, sepolte allora sotto una lastra di silenzio generale. Il 3 ottobre 2008 Cossiga rilasciò una lunghissima intervista al quotidiano israeliano Yediot Aharonot, muovendo accuse che in qualsiasi Paese, e probabilmente anche in Italia se provenienti da altra fonte, avrebbero provocato un mezzo terremoto, pur se riferite a eventi già vecchi di quasi tre decenni.

Senza mezzi termini Cossiga accusò l’Italia di aver permesso al terrorismo palestinese di colpire obiettivi ebraici sul territorio italiano, all’interno del cosiddetto lodo Moro. “In cambio di una ‘mano libera’ in Italia, i palestinesi hanno assicurato la sicurezza del nostro Stato e [l’immunità] di obiettivi italiani al di fuori del Paese da attentati terroristici. Fintanto che tali obiettivi non collaborassero con il sionismo e con lo Stato d’Israele”. La clausola, affermava l’ex capo dello Stato, ex primo ministro, ex ministro degli Interni legatissimo ai servizi segreti, equivaleva a una sorta di licenza di uccidere gli ebrei, “fiancheggiatori dei sionisti”, nonostante il lodo Moro. La conclusione di Cossiga era perentoria: “Vi abbiamo venduto”. L’accusa dell’ex capo dello Stato fu completamente ignorata, come erano state lasciate cadere nel vuoto le sue rivelazioni dell’agosto precedente, che confermavano l’esistenza dell’ormai famoso patto segreto tra lo Stato italiano e le organizzazioni palestinesi. Accordo che a tutt’oggi resta un fantasma. Ufficialmente non è mai esistito. Del resto con Cossiga era stata adoperata, fortunatamente senza conseguenze letali, la stessa strategia usata con Aldo Moro nei 55 giorni della prigionia: farlo passare per pazzo e si sa che di quel che dicono i pazzi non ci se deve curare.

Cossiga non era pazzo e i documenti confermano che aveva ragione. Il principale attentato al quale l’ex presidente alludeva era quello contro la sinagoga di Roma del 9 ottobre 1982, nel quale fu ucciso Stefano Gaj Taché, di due anni, e furono ferite 37 persone. La possibilità di un attentato contro la sinagoga era stata segnalata dal Sisde più volte a partire dal 18 giugno 1982. Quel giorno il direttore del Sisde Emanuele De Francesco inviò un telex “riservato e urgente” a Polizia, Carabinieri, Guardia di Finanza e Sismi intitolato “Probabili attentati contro obiettivi israeliani o ebraici in Europa”. Il testo era sintetico e inequivocabile: “Fonte solitamente attendibile ha riferito che i palestinesi residenti in Europa avrebbero ricevuto l’ordine di prepararsi a compiere una serie di attentati contro obiettivi israeliani o ebraici europei”. L’Operazione “Pace in Galilea”, cioè l’attacco israeliano contro le postazioni palestinesi, diretto a sradicare le loro basi in Libano che sarebbe proseguito per mesi, era iniziata da 12 giorni.

Il 27 giugno il Sisde faceva partire un nuovo “Appunto riservato” secondo cui gruppi di studenti palestinesi “avrebbero in animo” attacchi contro obiettivi ebraici a Roma. In testa alla lista dei possibili obiettivi c’era appunto la Sinagoga. In un Appunto del 27 agosto 1982, si afferma chiaramente che l’offensiva terroristica è in fase di ripresa ma che “l’atteggiamento dei fedayn verso l’Italia potrebbe non rivelarsi ostile nel caso di un sollecito riconoscimento dell’O.L.P. e della causa del popolo palestinese”. Secondo l’appunto due organizzazioni interna all’Olp, il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina di George Habbash e il Fronte Democratico Popolare per la Liberazione della Palestina di Hawatmeh, stavano facendo entrare clandestinamente in Europa i loro commando.

In tutto, dal 18 giugno al 9 ottobre, furono inviate 16 segnalazioni di possibili attentati in Italia, l’ultima il 2 ottobre, una settimana prima dell’attacco. In tre di queste era esplicitamente indicata la sinagoga come obiettivo. La più esplicita e precisa è del 25 settembre, spedita anche per conoscenza al ministero dell’Interno. Il Sisde affermava che una “fonte abitualmente attendibile” aveva segnalato la possibilità di attacchi del gruppo dissidente palestinese guidato da Abu Nidal “prima, durante o subito dopo lo Yom Kippur, che quest’anno cadrà il 27 settembre”. Anche dall’ambasciata israeliana, peraltro, era arrivato negli stessi mesi un avvertimento specifico: essendo troppo difficile colpire gli obiettivi israeliani, i palestinesi avevano deciso di prendere di mira gli ebrei. Il terrorismo avrebbe cioè colpito obiettivi ebraici, come appunto le sinagoghe, non israeliani o collegati a Israele.

Nonostante gli avvertimenti, la sinagoga non fu presidiata. Non solo non fu aumentata la sorveglianza ma il 9 ottobre non era presente neppure la macchina della polizia che solitamente stazionava lì in occasione di feste o cerimonie religiose. La sorveglianza sulla sinagoga e sul ghetto era stata predisposta solo dalle 19 della sera alle 7 della mattina seguente. Le stesse indagini, subito dopo l’attacco, non furono particolarmente stringenti e non portarono a niente. “Fui interrogato non al commissariato ma una specie di postazione mobile. Mi fecero qualche domanda generica e mi lasciarono andare”, racconta uno dei testimoni, Leonardo Piperno, che aveva visto arrivare due degli attentatori in moto ed è a tutt’oggi convinto, come anche l’allora giudice Rosario Priore, che non tutti i terroristi fossero palestinesi.

Il commando, secondo le ricostruzioni della polizia, era composto da 5 persone, 4 delle quali rimaste sconosciute. Il quinto attentatore, Abdel Osama al-Zomar, ex presidente dell’Associazione studenti palestinesi in Italia, fu arrestato un anno dopo al confine tra Turchia e Grecia, con un carico di 60 kg di tritolo. La sua ex compagna italiana, Anna Spedicato, disse che l’uomo le aveva confessato di essere l’organizzatore dell’attentato. L’Italia chiese l’estradizione fu immediatamente scarcerato dalla Grecia per evitare guai. È stato condannato in contumacia nel 1991. Le rivelazioni di Cossiga sul lodo Moro continuano a essere ignorate. Quel che successe davvero in Italia in quegli anni, strage di Bologna inclusa, non c’è alcun bisogno di chiarirlo…

 

BREVE CRONACA DEL 1982

Nel 1982 l’Italia era governata per la prima volta da un governo non a guida democristiana. Il presidente del Consiglio era il capo del partito repubblicano Giovanni Spadolini che era succeduto a Ugo La Malfa, al vertice del partito, dopo la sua morte (nel 1979). Ministro dell’Interno era Virginio Rognoni, democristiano. Presidente della Repubblica il mitico Sandro Pertini. Fu l’anno della clamorosa vittoria dell’Italia ai mondiali di calcio in Spagna. Vittoria ottenuta battendo le squadre più forti del mondo: Argentina, Brasile, Germania.

Il 1982 è un anno ricco di avvenimenti. In Italia si apre in gennaio con la cattura del capo dell’ala più dura delle Brigate Rosse, Giovanni Senzani. Il colpo è clamoroso ma le Brigate Rosse continueranno la loro azione almeno per altri 4 anni. È anche l’anno di avvio dell’azione stragista della corrente corleonese della mafia, che uccide in aprile il leader comunista Pio La Torre e in settembre il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Nel 1982 scoppia e si conclude in tre mesi la guerra delle Falkland tra Argentina e Gran Bretagna. La sconfitta dell’Argentina determina la fine del regime fascista e golpista di Videla e l’avvio del superamento di tutte le dittature dell’America latina. A fine anno muore Breznev e l’impero sovietico diventa meno granitico. Tra i grandi film quelli di maggior successo sono E.T. e Blade Runner.