Enrico Borghi, deputato del Partito Democratico, membro del Comitato Parlamentare sui Servizi Segreti, lo dice off the records: «Da membro del Copasir ci sono cose che posso dire e altre che posso solo accennare, per farle capire». Ma la preoccupazione dei nostri organismi di sicurezza è massima.

Siamo a una cesura della storia?
L’aggressione della Russia nei confronti dell’Ucraina crea un solco profondo che si può paragonare per gli effetti geopolitici alla nascita del Cominform nel ’47. Grande polarizzazione e attrito diretto fra la Russia e la NATO.

Siamo alla vigilia della Prima guerra mondiale ibrida.
È già iniziata. L’azione che viene condotta dalla Russia è figlia di una pianificazione che è figlia di un’impalcatura ideologica che è figlia di un obiettivo preciso. Se non partiamo da questo assunto non capiamo neanche le strade per la possibile soluzione: il tema della cosiddetta guerra ibrida è già stato portato a fattor comune da parte della Russia. Come noto la guerra ibrida implica una serie di attività in vari campi…

Diciamo di controinformazione e non solo.
Di controinformazione e disinformazione, ingerenza, influenza. Di ‘capitalismo politico’ e anche di captazione delle notizie nei vari campi. E di intelligence in campo militare. Ricordo quello che è accaduto a Roma un anno fa: l’arresto del capitano della Marina Walter Biot, che vendeva segreti militari NATO alla Russia, e l’espulsione di due funzionari dell’ambasciata russa in Italia. Un intervento che si deve ad una capace attività di controllo dell’AISI.

Da quanto mi dice il Copasir è più preoccupato della guerra ibrida che della guerra guerreggiata.
Quando si arriva a bombardare scuole e ospedali – e si spara a vista ai civili – non è più guerra, ma crimine contro l’umanità. E quelle che loro definiscono operazioni, vanno definite con il loro nome: sono degli assassinii. Detto questo, dal punto di vista cibernetico e comunicativo, siamo contagiati da anni e dobbiamo fronteggiare con urgenza gli attacchi destabilizzanti di quella che una volta veniva chiamata la disinformazia, e che non a caso è nata a quella latitudine.

A cosa si riferisce?
Alle tante cose che, come Occidente, abbiamo sottovalutato. Provengono dalla stessa matrice russa i casi di Cambridge Analytica, l’influenza sulle presidenziali americane che videro vincere Trump, l’inquinamento del referendum Brexit, la pressione contro il referendum costituzionale di Renzi del 2016.

Tutti casi conclamati di interferenza russa?
Sto citando i casi espliciti in cui si sono messe in atto una serie di attività attraverso la famosa fabbrica dei troll di San Pietroburgo che si deve a un oligarca che ha a che fare direttamente con il presidente Putin e con la brigata Wagner che in queste ore scorrazza in giro per Kiev alla ricerca dello scalpo di Zelensky.

E come operano in Rete?
Attraverso il meccanismo dei bot, i troll, le chat di Telegram, il condizionamento dei social filtrato dalle banche dati, per diffondere falsa informazione e controinformazione con un obiettivo preciso: creare destabilizzazione interna ai Paesi che si ritenevano obiettivi sensibili.

L’Italia è tra questi?
Dalla crisi finanziaria del 2008 ad oggi l’Italia è il ventre molle d’Europa.

Non a caso nel 2018 vincono i due partiti populisti amici della Russia, i Cinque Stelle e la Lega.
Il populismo vince anche in seguito a certe interferenze. E la Lega deve ancora spiegarci come mai non ha ancora interrotto quel protocollo associativo che ha con Russia Unita. In questo momento diventa un fatto grave. I Cinque Stelle avevano anche loro iniziato un processo di associazione con il partito di Putin, ma lo hanno interrotto. Ci sono state interconnessioni forti con Aleksandr Gel’evič Dugin e Steve Bannon: il populismo italiano è nato anche attraverso l’impiego di attività di questo tipo.

E con l’impiego di influencer graditi al pubblico…
Il ruolo di alcuni esponenti, penso a Alessandro Di Battista, è andato esattamente nella direzione di instaurare un rapporto solidissimo tra l’Italia e la Russia in una logica anti-NATO, anti Occidente. E adesso stanno raccogliendo i frutti di quella stagione. Forse il centrosinistra ha svolto un ruolo positivo nella riconversione dei Cinque Stelle in ottica ‘occidentale’.

E ora serve un processo di europeizzazione del centrodestra?
Sì, questo momento è un banco di prova per loro. Devono riposizionarsi in una logica di netto allineamento atlantico ed europeo per poter rimettere la democrazia italiana in una dinamica di alternanza senza rischi incombenti.

L’Italia era pronta per la cyberwar?
Noi stiamo rincorrendo altri partner sul terreno di quella guerre electronique che la Francia studia a fondo da anni. Da noi si realizzano provvedimenti urgenti sulla scorta dei fatti che avvengono, spesso senza analisi preventiva. Nel settembre 2019 abbiamo stabilito il Perimetro nazionale della cybersicurezza, nella primavera 2021 l’Agenzia nazionale per la cybersicurezza. Diciamo che da quando il Pd è tornato al governo l’attenzione su questi temi c’è stata. Forse non per caso.

L’utilizzo delle cryptovalute preoccupa il Copasir?
Torno a dire che non posso parlare dei nostri lavori. L’utilizzo delle cryptovalute in un contesto occulto ci preoccupa. Si sospetta che la Russia stia convertendo valuta in Bitcoin. È un dato acquisito che abbia accantonato centinaia di miliardi ed è un dato di fatto che sotto la superficie il fenomeno delle cryptovalute ha degli incroci fra entità statuali ed entità non particolarmente commendevoli.

Dal deep web al deep state?
Esattamente. Chi commette atti criminali come l’invasione di un Paese e l’aggressione, l’uccisione di civili non credo si faccia troppi problemi poi a fare attività di autoriciclaggio via cryptovalute.

Il Riformista sta facendo un’inchiesta su Kaspersky…
Fate bene. È un tema da approfondire perché è una questione di sicurezza nazionale.

Da uno a dieci, qual è lo stato d’allarme del Copasir?
Elevato. Tra l’8 e il 9. Anche perché la situazione sul terreno si è complicata per Putin, ci sono scenari che rischiano di evocare vicende siriane o cecene. Kiev potrebbe diventare una nuova Grozny, una nuova Sarajevo.

Una tomba per l’Europa.
Sì, perché un evento di questo genere diventa di pool attractor. Si sdogana l’idea dell’utilizzo di armi su commissione, con il rischio di una guerra endemica, sotterranea e continua. E poi c’è un effetto domino.

I riflessi economici su scala mondiale?
Ne cito uno: l’impatto sulla produzione del grano. Se, per esempio, riflettiamo sul fatto che il 31% del grano russo viene acquistato dall’Egitto, possiamo immaginare quale possa essere l’impatto sul Nord Africa della somma tra l’aumento dei prezzi e la diminuzione delle derrate. Ricordiamoci che le primavere arabe sono iniziate per il costo del pane. Con tutti i riflessi che ci possono essere dal punto di vista anche dell’immigrazione

La NATO e proprio nelle prossime settimane decide il nuovo segretario generale, c’è una speranza per l’Italia?
Questo shock bellico può far nascere finalmente l’Europa della difesa

Che segnerebbe il superamento della NATO?
Diciamo una sua evoluzione. È auspicabile all’interno della NATO l’Europa abbia una propria soggettività, capace di intervenire sulla messa in sicurezza nel campo dell’energia come anche sul traffico di esseri umani.

E l’human traffic è un’altra arma con cui si minaccia l’Europa…
Per questo dicevo: non dimentichiamoci il fronte Sud. Perché l’utilizzo improprio e inumano degli immigrati come elemento di destabilizzazione attraverso la rotta mediterranea e la rotta balcanica è figlia di una pianificazione che è stata fatta a Mosca. Anche per questo la presenza di un italiano alla guida della NATO avrebbe un senso per guidare il percorso di nascita della NATO del terzo millennio.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.