Riunione di redazione fissata alle 12:30. Dopo un rapido scambio di idee e di spunti decidiamo gli argomenti da affrontare nel giornale di oggi. Il direttore mi rivolge una domanda banale: «Tu cosa sai di Berlinguer?». La mia replica, che non è una risposta ma un contro-interrogativo, scatta in automatico: «Berlinguer chi? Padre o figlia?». Ed è sulla scia di questo siparietto che nasce l’articolo. Una reazione naturale frutto di ingenuità, figlia di un ragazzo di 23 anni che non ha una conoscenza approfondita di tutto ciò che è stata la politica di quegli anni. Rifletto, penso che forse ho sbagliato. Chissà che squallida idea ho dato di me. Ma dopo qualche minuto continua a tartassarmi un dubbio: perché dovrei conoscere nei minimi particolari Enrico Berlinguer? Se non per cultura personale e passione politica, per quale motivo dovrei precipitarmi su Google e prendere nota dei suoi interventi? Il «compromesso storico», il tentativo di avvicinamento alla Democrazia Cristiana, la «questione morale», la deriva dei partiti: cosa dovrebbe fare un giovane di tutto ciò?

A 40 anni dalla sua morte tutto è cambiato, eppure il suo nome spunta costantemente nei discorsi davanti un caffè, durante una passeggiata, nella chat di un gruppo WhatsApp in cui si parla di politica. Nel 2024 si parla ancora di Enrico Berlinguer non per l’eredità lasciata né tantomeno per la perversione di una generazione che tutto vuole fare tranne che scavare in un passato così lontano. Icona mai sbiadita anche per l’incapacità di una politica che non sa guardare avanti ma che preferisce guardare indietro e aggrapparsi al ricordo. Chissenefrega delle sfide che ci attendono, delle guerre che rischiano di travolgere il mondo, della transizione energetica, dei pericoli dell’intelligenza artificiale: l’importante è vivere nell’ombra di uno dei personaggi politici più rispettati della storia politica italiana per colmare il vuoto di proposte dell’oggi. Un trucchetto che eccita qualche sparuto parlamentare o presunto leader ma che di certo viene respinto senza troppi complimenti dagli elettori.

Sarebbe curioso girare per le strade e chiedere a ogni singolo passante quale sia il suo interesse verso l’attualità di Berlinguer. La risposta sarebbe pari allo zero. Non per la sua figura, sia chiaro. Ma perché la politica esaspera il dibattito verniciando d’oro discorsi nostalgici. E così il Partito democratico decide di raffigurare nella tessera gli occhi sorridenti del «compagno Enrico», mentre la platea presente alla conferenza programmatica di Fratelli d’Italia a Pescara gli dedica una standing ovation. Tutti scommettono su di lui, tutti parlano di lui, tutti lo tirano per la giacchetta, ma quasi nessuno sa chi fosse davvero. La politica però finge di non saperlo, un po’ per pigrizia (che fatica pensare al futuro!) e un po’ per non sentirsi umiliata (perché dovremmo parlare dell’oggi se c’è chi ha fatto meglio di noi in passato?). Poi però tutti presenti al coro di piagnistei quando le elezioni vengono ignorate da sempre più elettori e i giovani preferiscono starsene sotto le coperte la domenica o girovagare piuttosto che mettersi in fila per scrociare un simbolo su un foglio nell’urna.

Come si può pretendere di essere credibili? Tutti d’accordo nelle buone intenzioni per favorire la partecipazione giovanile, tutti d’accordo nel fermarsi a 60 anni fa sperando che torni quel passato in un presente arido. Immaginate un ragazzo appena maggiorenne che si cimenta nel suo primo voto: prova a informarsi sul web e si imbatte in una bacheca invasa da fiumi di parole sullo spettro del fascismo che «sta per tornare» e sul mito di Berlinguer. E lui che sperava di leggere i programmi di Fratelli d’Italia o del Partito democratico, giusto per citare i principali partiti italiani. Invece la politica preferisce il duello di nostalgie, una certa sinistra si crogiola inseguendo un personaggio politico diventato segretario del Partito Comunista Italiano nel lontano 1972. Con una buona dose di realismo non si può chiedere ai partiti di tentare di mettere in campo un nuovo Berlinguer se loro stessi ammettono di non esserne in grado. Quali sarebbero le alte pretese di politici per caso a cui piace atteggiarsi da leader ma che non hanno altra ricetta se non quella di appigliarsi a un santino? Meglio non pensarci. Nel frattempo i ragazzi sanno sempre meno di Berlinguer e al tempo stesso sanno tutto della classe politica nostrana: incapace di parlare ai giovani, lontana dal pianeta Terra, senza abilità di rinnovarsi. Evidentemente l’attuale crisi dei partiti non interessa neanche ai partiti stessi. Figuriamoci ai ragazzi cosa può importare di Berlinguer.