Berlusconi, Murgia, De Masi: persone, non etichette. Questa consapevolezza costituisce la base di quel pensiero umanistico che a mio giudizio dovrebbe caratterizzare la proposta politica degli innovatori del nostro tempo. Per Achille, Ettore era il nemico, anzi il simbolo dei nemici. Lo umilia, lo uccide e fa scempio del suo corpo, che considera di sua proprietà: come il gatto si acquatta vicino al cadavere del topo, così Achille siede vicino al corpo di Ettore. Priamo giunge all’accampamento per reclamare, anzi implorare, la restituzione del corpo del figlio. Cosa può muovere l’iracondo Achille a compiere tale benevolo gesto? Non sono certo le preghiere di Priamo, che anzi lo spazientiscono; no, il momento magico che muove Achille al gesto pietoso è un altro, è quando Priamo gli parla di Peleo, descrivendo quanto sarebbe felice e rassicurato nel sapere il figlio ancora vivo e nel poterlo riabbracciare al ritorno da Troia. Ascoltando queste parole, Achille, ripensando al vecchio padre, trattiene a stento le lacrime e in quel preciso momento acconsente alla restituzione del corpo di Ettore.

Cosa è successo? Cosa ha davvero mosso Achille? Priamo gli ha regalato una nuova rappresentazione della realtà, rappresentazione grazie alla quale il pelide ha cessato di vedere Ettore nell’unico ruolo a lui visibile e noto, quello di nemico, e ha iniziato a vederlo a tutto tondo. Non più un’etichetta, ma una persona, una persona che interpreta tanti ruoli, quello di combattente, certo, ma anche quello di figlio, in fondo anche di padre, di consorte, di fratello, di amico. Sì, la magia della morte ha l’effetto di farci rirappresentare le persone, regalandoci nuove consapevolezze, effetto che spesso riscontriamo alla morte dei nostri stessi genitori, quando ne scorgiamo le fragilità pur avendoli magari mitizzati in vita o ne cogliamo tutta l’umanità quando in vita li avessimo disprezzati: in quel momento, sentiamo che per noi, in fondo, non hanno fatto né male né bene, hanno più semplicemente fatto quello che hanno potuto.
Fece scalpore quando, eravamo nel 1984, Almirante rese omaggio a Berlinguer, partecipando ai suoi funerali. Anche in quel caso, grazie alla magia della morte, per Almirante Berlinguer cessa di rappresentare il nemico e diviene persona. Qualcosa di simile accadde nel 2009 quando Bersani si recò a visitare in ospedale Silvio Berlusconi, convalescente dopo l’agguato della statuetta. Lo ricorda lo stesso Berlusconi: “venne a trovarmi in ospedale e rimase con me tenendomi la mia mano tra le sue per mezz’ora. È una persona perbene e generosa”. Anche in quel caso, Berlusconi, agli occhi di Bersani, cessa di rappresentare il nemico e diventa persona a tutto tondo. D’altronde, proprio al funerale di Silvio Berlusconi, Monsignor Delpini ne traccia nell’omelia un profilo articolato, ricordandolo come imprenditore, come uomo di successo, come politico, come uomo di spettacolo, come comunicatore, come padre, come amico, mettendone in chiara evidenza la molteplicità e contraddittorietà.

Sì, siamo tutti molteplici e contraddittori, ognuno di noi lo è. Giudicare una parte e totalizzare su di essa l’intera persona, è a dir poco ingeneroso ed è la pratica abituale di ogni atteggiamento totalitario: per un nazista, prima di essere una persona, sei un ebreo o un ariano; per un comunista, prima di essere una persona, sei un borghese o un proletario; per un talebano, prima di essere una persona sei un fedele o un infedele. Per questa ragione, la capacità di riconsiderare l’avversario, almeno nel giorno della sua morte, è un tratto irrinunciabile per chiunque si professi liberale.
Nelle scorse settimane, ci hanno lasciato diverse figure pubbliche, fra cui Michela Murgia e Domenico De Masi. In molti, nel momento della loro morte, si sono sentiti in dovere di ricordare e confermare l’etichetta che gli avevano appiccicato in vita. Costoro non sono riusciti ad andare oltre il ruolo, a vedere la persona a tutto tondo, a coglierne la molteplicità e contraddittorietà, hanno preferito continuare a giudicare. Malignamente, ottusamente, tristemente. Ma le persone non sono un ruolo che esercitano, sono molto di più. Questa consapevolezza costituisce la base di quel pensiero umanistico che a mio giudizio dovrebbe caratterizzare la proposta politica degli innovatori del nostro tempo.
Per questa ragione, mi piace l’idea di condividere uno spazio con chi avesse un’opinione diversa dalla mia sulla genialità di Silvio Berlusconi, sull’acutezza di Michela Murgia e sull’intento innovatore di Domenico De Masi, ma non mi piacerebbe condividerlo con chi non sapesse rinunciare alle etichette.

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Esperto di leadership e talento, ha pubblicato diversi saggi con Sperling & Kupfer, Guerini e Feltrinelli, alcuni dei quali tradotti in più lingue fra cui il coreano e il giapponese. In qualità di executive coach, ha formato centinaia di manager dei principali gruppi industriali italiani e ha lavorato al fianco di alcuni fra i più affermati allenatori di calcio e pallavolo.